Tre album autoprodotti hanno creato il giusto background per questo esordio quasi ufficiale della talentuosa cantante del Tennesse, Valerie June. La sua storia personale contiene tutti i prevedibili cliché dell’artista di colore soul-blues: una passione per la musica condivisa con il suo ex-marito, una serie di lavori umilianti che le permettono di sopravvivere e di coltivare nel tepore della sua camera da letto una passione per il gospel.
Quello che suona completamente diverso da altre voci del blues contemporaneo è il continuo azzardo stilistico e la rinuncia all’estetica mainstream, con un suono che rimette in gioco gli elementi primari del blues e del soul con atmosfere familiari ma mai prevedibili.
Più simile a Wanda Jackson che a Meshell Ndegeocello, Valerie June si dimostra abile nel gestire le sue particolari doti vocali con brani tortuosi ed essenziali, che non si rifugiano nella grandiosità degli arrangiamenti: il suono è sporco alla maniera del Dr John Di “Gris Gris”, ma allo stesso tempo elegante come il miglior Ry Cooder. La squadra di produttori è ineccepibile: Kevin Augunas (Edward Sharpe & The Magnetic Zeros, Florence & The Machine) e Dan Auerbach (Black Keys) mettono insieme elementi tradizionali e moderni, con uno spirito avventuroso che cita gospel e bluegrass, restando in costante bilico tra ironia e sincerità.
Si ascolti per esempio la delicata ballad “Somebody To Love”, che mette in risalto l’abilità della June come autrice e interprete: l’amarezza della solitudine è raccontata con pudore e tenerezza, prima con un arrangiamento per solo banjo e voce della versione acustica (ghost track dell’album) e poi con un raffinato ensemble folk alla Penguin Café Orchestra nella versione ufficiale.
Le continue e originali soluzioni dei brani donano quindi uno spessore inconsueto e fragile a tutto l’album. L’ipnotico giro armonico di chitarra di “The Hour” si tinge di beat e soul, il malizioso funky della catchy "Wanna Be On Your Mind" sprigiona una sensualità contagiosa, l’afro-blues di ”Workin' Woman Blues” entra nel vortice ciclico del jazz con splendidi inserimenti di fiati, con una serie di geniali intuizioni sonore che rendono il tutto originale e rimarchevole. Anche le pagine più semplici e familiari come “Twined & Twisted”e “Tennessee Time” evitano le secche del blues-revival, con arrangiamenti spigolosi che rifugiano dal fascino della musica di sottofondo.
Valerie June riscrive i canoni dell’eleganza nella raffinata “Shotgun” con sferzate di banjo e chitarra, che come lame affilate estraggono gli ultimi residui di sangue dal blues più ancestrale. Tra riletture di classici bluegrass (“Trials, Troubles, Tribulations”) e atmosphere quasi gothic-blues (“On My Way”) c’è spazio per un grintoso sprazzo di distorsioni rock (“You Can't Be Told”), per poi lasciare che si insinui l’ennesimo piccolo gioiellino di coraggio e classe, ovvero la title track “Pushin' Against A Stone”, un blues acido che sfrutta al completo le capacità vocali della cantautrice e regala un assolo dai toni vintage.
“Pushin' Against A Stone” è uno degli album destinati a caratterizzare l’anno in corso, con una serie di canzoni che stanno ai confini della miglior musica radio-friendly senza avere le caratteristiche della musica pop di consumo. Inimitabile e atipica, la voce di Valerie June è una delle più affascinanti realtà della musica moderna; il suo quarto capitolo discografico suona fresco e grintoso come un esordio, e solo questo basta a candidarlo come uno degli ascolti obbligati per gli animi curiosi e impavidi.
31/05/2013