“Legao” tradisce però parzialmente le aspettative: Erlend si produce nel suo easy listening con soluzioni che prendono dal reggae e dal soul (“Garota”), finendo però per esaltare il carattere più inoffensivo del suo songwriting. Le tracce scorrono una dopo l’altra senza fremiti, con docile spirito vacanziero (il giocoso organetto di “Whistler”), innescando momenti da revival anni Settanta un po’ da piano bar (i Fleetwood Mac di “Bad Guy Now”). Una sensazione che gli arrangiamenti reggae non contribuiscono certo ad alleviare.
La scrittura di Erlend mantiene a galla il tutto (“Peng Pong”, “Save Some Loving”), ed è raro trovare tanta ispirazione in un disco nato da uno stato esistenziale evidentemente e stabilmente appagato. “Legao” rimane però un disco che sembra quasi non voler andare in profondità, qualunque sia l’atmosfera evocata: questo fa pensare più a un momento attuale di transizione nella carriera di Oye.
(10/10/2014)