Con i Mi Ami riposti in soffitta, in attesa di essere spolverati quando si presenterà il momento, e con il compagno di merende Damon Palermo ad aver esordito quest'anno in solitaria con una discreta uscita house, quale occasione migliore per Daniel Martin-McCormick per riprendere il discorso interrotto due anni fa con “Dream On”, e aggiungere il terzo capitolo alla sua personale avventura, evolutasi ad amplissime falcate? Con il rinnovato interesse verso la dance e la house nel Regno Unito, e con il movimento abstract a fare ancora da solido contraltare negli Stati Uniti, il periodo è indubbiamente quello giusto, affinché una pubblicazione come “Endgame”, uscita come di consueto grazie all'impegno della Planet Mu, possa ottenere sufficiente visibilità e non arenarsi nel mare magnum dell'attuale distribuzione discografica. Visibilità che con un po' di pazienza, tra gli amanti del settore, indubbiamente arriverà: eppure, rispetto al buon “Hive Mind”, qualche riserva non manca di sminuire l'impatto complessivo di quest'ultimo lavoro, che avverte comunque l'esigenza di spostare nuovamente il baricentro stilistico di un passo in avanti rispetto all'accoppiata discografica del 2012. Il più classico dei dischi di transizione.
Il canovaccio house, atmosferico e raramente interessato a facilissimi risvolti scuoti-membra, è sempre il punto di partenza da prendere in considerazione, l'elemento fondante nelle timbriche e nelle composizioni di Martin-McCormick. Eppure, mai come adesso (neanche in occasione dei pezzi più dilatati del secondo disco) gli spunti techno apparivano usati su così larga scala, mai si era proceduto di astrazione con una simile decisione, slabbrando, curvando, addirittura nascondendo la cassa, se non la si ritiene indispensabile. Tra le pulsazioni minimal della title track, corpo sinuoso circondato da melodismi appena accennati e tenebrose pennellate di tastiera, e i frastagliati crescendo acidi di “Coagulate”, rare sono le occasioni di poter avvertire una costruzione marcata, progressioni che non siano state tenute intenzionalmente sfilacciate, sospese in un limbo di liquida rilassatezza, lontane da troppa confusione.
Per quanto comunque densa di piccoli (e meno piccoli) accorgimenti, rifinita di tutto punto da una produzione curata sotto ogni aspetto (merito del lavoro di Rashad Becker), la maggior parte delle tracce scorre come buon sottofondo, sa allestire un'ambience di tutto rispetto, ma non vi è alcun guizzo ulteriore, non un graffio che sappia scavare più in profondità. Desta comunque una certa curiosità la trance ipnotica suscitata dai bisbigli ovattati ad apertura di “Beacon”, prima che prenda la via di un tappeto technoide un po' stiracchiato nei tempi, nonché il gioco sinestetico che motiva “Whispers In The Dark” (interessante la sua cupezza espressiva), per il resto, tra collaudati trucchetti del mestiere e qualche sbrodolata di troppo, ben poco riesce ad aggrapparsi alla memoria.
Parlare comunque di “Endgame” come di una delusione sarebbe del tutto ingeneroso, anzi, del tutto fuori fuoco. Quel che manca a Martin-McCormick è il completo dominio di una materia con la quale semplicemente deve raggiungere la necessaria familiarità. Approfondita la conoscenza, quello che per adesso si evidenzia come bel sostrato (ci scuserete l'ossimoro) diventerà senz'altro ascolto ben più sostanziale.
17/10/2014