Che Mariusz Duda avesse acquisito un debole per il prog lo si era già capito dall'ultimo Riverside, disco solido e compiuto che aveva riscosso pareri ben poco lusinghieri da parte dei nostalgici degli albori metal. In realtà, sono ben sei anni che il frontman di una delle band emblema del rock polacco sfoga la sua seconda passione per mezzo di Lunatic Soul, un side project di puro stampo progressive formato assieme a Wawrzyniec Dramowicz e Maciej Szelenbaum che arriva oggi al quarto capitolo, passato in sordina nonostasnte l'importante patrocinio di Kscope.
Dopo i calligrafici quanto ben realizzati primi due capitoli e il mezzo passo falso del precedente “Impressions”, “Walking On A Flashlight Beam” può essere letto come il disco della maturità di un progetto pronto comunque a rimescolare le carte in tavola. Qui siamo di fronte a un rock atmosferico, profondo, oscuro, che dalla rinascita progressive firmata Porcupine Tree recupera principalmente elementi umorali e sonori, percorrendo per il resto una strada più vicina a quella degli ultimi Katatonia, con però la capacità di gestire in maniera impeccabile il mezzo espressivo.
Il lungo chiaroscuro di “Cold” è in tal senso emblematico: una litania che scomoda elementi di pura ambient music (espansi poi sull'ottima “Sky Drawn In Cranyon”), che viaggia con passo felpato di basso e chitarra nel buio notturno, ma che dimostra di saperci vedere fin troppo bene, senza cadere mai nella noia o nella stanca. Ancor più eloquente è il lungo sermone d'apertura di “Shutting Out The Sun”, che parte a testa bassa per crescere lentamente e progressivamente fino ad assumere un'ossatura prettamente rock, che si disgrega nuovamente nel finale.
I dodici tesissimi minuti di “Pygmalion's Ladder” tornano a vertere su elementi prog facendosi assistere da sussurri elettronici, ispirandosi sì al verbo storico ma evitando il ricalco impersonale che ha tarpato le ali agli ultimi Opeth, mentre l'apice della suggestione coincide con l'omaggio agli Anathema di fine Novanta della conclusiva title track. Un paio di passaggi troppo ambiziosi – il mantra per basso di “Gutter” e la distorta “The Fear Within” - non riescono a rovinare la compattezza e il risultato complessivo di un disco sapiente e maturo.
19/10/2014