“I Plaid invece sono puro mezzo e niente obiettivo: hanno una ricerca melodica e armonica abbastanza rara nella musica elettronica, senza per forza voler settare un'atmosfera, un mood. Per questo dicevo che sono tra i pochi a non puntare sull'effetto futuristico.
Sembra quasi che nell'elettronica ci siano nati, non che ci siano arrivati a un certo momento della loro vita capendo quindi, per contrasto, le potenzialità che ha l'elettronica nel designare scenari.”
Certe volte non serve essere critici affermati o riempire (come chi scrive per primo fa)
webzine e riviste dei propri articoli per azzeccare la definizione perfetta. Certe volte capita così, quasi per caso, in una discussione nemmeno troppo animata su un forum (poco importa che nel caso specifico si tratti proprio di
quello che fa capo a questa
webzine), di centrare il punto come forse sarebbe stato impossibile fare pure per chi su quello stesso argomento ci ha speso
tempi e forze a dismisura. Bene, potremmo aver finito qui in realtà, perché con queste poche righe è presto spiegato cosa la creatura seconda di Ed Handley e Andy Turner possa rappresentare, di quale sia il suo “segreto” fondante, del perché e del come sia avvenuto il suo progressivo distacco dal verbo di Sheffield. Tutti elementi che in questo decimo parto sulla lunga durata della coppia trovano forse la loro dimostrazione più palese ed eloquente.
“Reachy Prints” non è un disco senza macchie, non è particolarmente originale né stupisce in alcun modo, non ha nemmeno quella brillantezza variegata che aveva portato il suo predecessore a essere l'unico membro della discografia dei due a pareggiare il livello con la supercoppia “Rest Proof Clockwork”-“Double Figure” (“Not For Threes” sta su un altro pianeta). “Reachy Prints” è invece un paradigma, un album “tutta sostanza” dove la mancanza della forma tende talvolta a farsi pure sentire, un disco che incarna come nessuno in precedenza l'approccio dei Plaid nel far musica. Ci sentiamo dentro i reflui delle migliori esperienze cinematografiche (l'ultima “The Carp And The Seagull” soprattutto), lo identifichiamo dopo pochi secondi come l'evoluzione più probabile e prevista di “
Scintilli”, come il definitivo addio alle sfaccettature ritmiche con contemporaneo inchino alla forza della melodia e al sogno lucido, al punto da lambire talvolta persino le forme più sofisticate e lussuose dell'universo
downtempo.
Ma la verità è che questi nove brani sono “successivi” solo ed esclusivamente a livello temporale, perché portano alla luce in forma pura e senza mediazioni di nessun genere quelle che sono da sempre le peculiarità maggiori della musica dei Plaid. Prendiamo per esempio il carillon di “Nafovanny” e presto i conti torneranno: quella dolce culla di cui oggi ci guidano alla scoperta non è che la stessa dove, quindici anni o poco meno fa, Ed e Andy si cimentavano nel semplificare le
complex equation di quell'
intellighenzia artificiale che loro stessi avevano fondato. Se fino a qualche anno fa di quei calcoli c'era ancora qualche residuo, qui anche gli ultimi sono ridotti definitivamente in forma normale: “Tether” e “Ropen” lo dimostrano, lasciando colare qualche lacrima di nostalgia rispettivamente fra sorrisi spontanei e lamenti soffusi. “Wallet” fa lo stesso ripetendo però al tempo stesso che, ci fosse ancora bisogno di ribadirlo, nessuno riuscirà mai a pareggiarli nell'abilità di sigillare emozioni fra i tasselli coloratissimi dei loro caleidoscopi.
Nel medesimo solco stilistico, l'uno-due di partenza è di quelli da autentico
knock-out: la progressione irrefrenabile “OH” e il dolcissimo acquerello di “Hawkmoth” sono prove di autentica maestria, gemme cristalline che nessun altro ha a oggi dimostrato di saper partorire. Per contro, i tentativi di stupire a base di effusioni
jazzy in “Liverpool Street” e di scintillanti suoni
sci-fi in “Matin Lunaire” non sortiscono l'effetto sperato, pur non intaccando minimamente lo scorrere fluente della
tracklist. Di anni dall'esordio vero e proprio ne sono passati ventitré, da quello effettivo “solo” diciassette, ma alla musica dei Plaid le primavere sembrano aver fornito solo maturità e consapevolezza creativa in dosi copiose, al contrario di quanto avvenuto per gran parte degli altri protagonisti della “vecchia”
Idm. E poco importa se stavolta il brio è meno di quanto lo era stato in precedenza e il mestiere si sente forse un po' più del solito: è di gente così, che fa elettronica di classe col cuore e che con l'elettronica sa evocare e toccare il cuore, che non smetteremo mai di avere bisogno.
Un grazie a Giubbo per l'illuminante definizione riportata all'inizio della recensione.
07/06/2014