Il duo partenopeo dei Zero Centigrade formato da Tonino Taiuti e Vincenzo De Luce torna e chiude la sua purtroppo inosservata parabola artistica, che ha fruttato lavori di grande fattura come “I’m Not Like You” e “Umber”, con la suite di “Birch”, un’unica traccia di mezz’ora scarsa che rappresenta il limite ultimo della loro arte.
Il brano all’inizio è uno strimpellio rarefatto, un misto atonale di raga indiano e una meditazione desertica alla Ry Cooder. Sibili elettronici sfrecciano casualmente tra i suoi interstizi, gli spazi vuoti, i silenzi.
L’atmosfera si fa sempre più miniaturistica, quindi entra in un’altra dimensione, un ronzio mantrico da sitar con qualità cosmica, misto a un corale d’organo, e il raga diventa emissione di un’entità aliena sempre molto rarefatta. Al sordido fluire, via via più arcano, si aggiungono suoni in contorsione sviluppando un duetto informe, i cui composti sonori diventano sempre meno riconoscibili, finché la chitarra acustica dell’inizio si risveglia dall’incubo e riprende a strimpellare con l’elettronica.
Complesso e lineare a un tempo, anche istintivo, il canto del cigno del duo estirpa l’ultimo neo dei dischi predecessori, la frammentazione, e offre un mercuriale saggio della loro capacità d’improvvisazione col passo lungo della sonata da camera e l’ascesi della scultura di suono. Edito dalla russa Obs.
05/07/2014