Quell’espressione numerica che accompagna il titolo e la copertina di questo disco vi ha forse già detto tutto, è una forma di sintesi che oggi imperversa nella rete, che concilia il desiderio di onniscienza con quello di urgenza, e che spesso vincola l’analisi approfondita alle esigenze di una ristretta cerchia di grafomani e lettori incalliti.
Se devo (sempre per i succitati motivi di onniscienza e urgenza del lettore) racchiudere in poche frasi le qualità di questo nuovo album di Bill Fay, non sono costretto a compiere uno sforzo titanico, le parole che descrivevano il precedente “Life Is People” calzano a pennello anche per “Who Is The Sender?”: Bill canta ancora la solitudine e l'emarginazione dell'anima… arrangiamenti imponenti ma privi di enfasi posticcia, un fluire armonico che toglie il respiro senza mai ricorrere a trucchi… una cascata senza fine di sentimenti di abbandono, di compassione, di paure ancestrali, ma anche di fiducia e redenzione, che il musicista affida a un cristo privo del dogmatismo clericale.
Smaltita la curiosità dei fugaci, mi sembra giusto ricordare brevemente la storia di Bill Fay: compositore inglese scoperto dal manager di Donovan, si mise subito in mostra per la sua abilità nel mediare la poetica di Dylan e Cohen con quella dei suoi conterranei Nick Drake e Al Stewart, attraverso due eccellenti quanto diversi album, incisi nei primissimi anni 70.
Licenziato dalla Deram per scarso rendimento commerciale, il musicista scomparve dalla scena, ma non dal culto sotterraneo, che lo accompagnò fino alle preziose ristampe dei suoi album in cd, facenti seguito alle continue citazioni di artisti altisonanti come Jeff Tweedy e Nick Cave, che lo indicavano come fonte autorevole della loro ispirazione artistica.
Non è difficile comprendere l’oblio che quarant’anni fa accompagnò la sua scomparsa discografica, in questo ci aiuta non solo il sorprendente rientro di tre anni fa, ma ancora di più “Who Is The Sender?”, inatteso (nella breve tempistica) seguito di “Life Is People”.
La musica di Bill Fay è deliziosamente fuori da qualsiasi categoria critica e logistica, un'autarchia artistica che non segue pifferai magici o culti esoterici, non è un cantautore (o songwriter) ma un compositore vero e proprio, un musicista che fosse nato all’inizio del secondo millennio ne avremmo ricordato le gesta insieme a quelle di Hildegard von Bingen, fosse vissuto nel 600 l'avremmo associato a Don Carlo Gesualdo, o infine a Frederic Chopin se l’orologio fosse stato spostato nell’800.
La verità è che Fay ha sempre vissuto la sua storia di musicista fuori dalle regole del cantautorato, una categoria alla quale associamo qualsiasi autore che, non essendo rock (leggi Springsteen) o pop (leggi Bowie) e non avendo una band (ad esempio Who, Kinks o Prefab Sprout), per il solo presupposto di essere unico artefice delle composizioni, non può esser altro che un songwriter; ma è un errore che non è giusto perpetuare dopo l’ascolto di “Who Is The Sender”.
L’elemento che mette subito in crisi il dottorato rock è il suo strumento musicale primario, ovvero il piano, un pericoloso apparecchio, che la rivoluzione beat e folk ha stigmatizzato prima come reazionario (solo Randy Newman è riuscito a resistere a tali accuse grazie alla sua ineffabile arguzia e ironia), per poi recuperarne il fascino aulico al fine di sopperire a crisi e limitazioni creative. L’altra bestia nera è l’orchestra, amata-odiata struttura a più elementi, che i detrattori del prog-rock usano sempre come motivo di disprezzo per le ambiziose pagine dei Seventies, e che i punk-rocker identificano come l’arma di Dio contro il sano diabolico rock.
Ora ditemi voi come è possibile riuscire a conquistare i rivoluzionari degli anni 60 e 70 o i saccheggiatori di indie-band con un pianoforte e un’orchestra, quasi impossibile direi, anche se la passione del precedente “Life Is People” è riuscita a scardinare più convinzioni di una lezione su Dio di Piergiorgio Odifreddi, ma resta il gap di una scelta stilistica troppo controcorrente per essere supportata con più di qualche sorriso e qualche pacca sulle spalle.
Peccato, perché il secondo album del ritrovato Bill Fay è pura arte compositiva, non cantautorato frutto di un musicista che, annoiato dalla mediocrità, non sa come sbarcare il lunario e si mette a cantare.
Le 12 nuove canzoni di “Who Is The Sender?” (la tredicesima è una rilettura di un brano dell’album del 1971 “Time Of The Last Persecution”) sono una lezione di puro lirismo, un'esegesi quasi perfetta della semplicità armonica che diviene arte popolare e assurge a sintesi di tutto il malessere e il rimpianto che scortano ogni generazione, ma anche della speranza: quell’ultima possibilità che i credenti affidano alla fede, e gli altri alla beatitudine della natura, e che Fay abbraccia invece nella sua interezza.
L’autore nel descrivere il suo nuovo album lo definisce una raccolta di alternative gospel, canzoni che nascono grazie al rapporto sempre più spirituale tra il musicista e il suo pianoforte, ed è il primo punto di partenza per assaporarne la piacevole tessitura lirica e romantica, che già dalle prime note di “The Geese Are Flying Westward” scorre fluida tra piano, organo e uno struggente hurdy gurdy, che invitano al raccoglimento e all’introspezione.
Non ci sono momenti meno ispirati, al contrario va segnalata la presenza di tre o quattro punte d’eccellenza che ne ampliano il valore d’insieme, tutto merito dell’abilità di compositore di Fay che, con scale armoniche mai complete o prolungate, crea una serie di canzoni dalla struttura minimalista che regge ascolti continuati, senza che il romanticismo prenda il sopravvento trascinando tutto nella retorica.
Il refrain del piano quasi alla Chopin di “How Little?” è una di quelle intuizioni che potresti ascoltare per ore senza mai annoiarti o distrarti, una melodia quasi circolare che avvolge il tutto come una spirale, crescendo d’intensità pian piano che mellotron, organo, batteria e chitarra elettrica non vengono assorbiti dalla furia emotiva e incendiaria del brano.
Ed è la stessa forza che si intravede dietro le note di “A Page Incomplete”, un altro esempio di composizione pura, che la voce di Fay sottolinea con rassegnazione e dolore. Le stesse emozioni che animano la superba “War Machine” dove, sempre in un crescendo quasi sinfonico-classico, il musicista dà voce a chi non riesce a esprimere la sofferenza che gli deriva dalla brutalità e dalla violenza; ovvero i ricci, le foglie, i merli e i falchi che assistono all’indecenza della guerra, la più assurda invenzione dell’uomo.
La musica di Bill Fay è frutto di accordi semplici e ricchi di fragile malinconia, che suonano disarmanti e densi di un'arte poetica desueta: chi avrebbe il coraggio oggi di scrivere una canzone come “Underneath The Sun”, dove i protagonisti sono un albero di ciliegio, la pioggia, le nuvole, gli uccelli e gli scoiattoli, mentre le sonorità, sempre più vicine al fascino corale della musica sacra, scivolano su delicate note di viola e piano, mettendo in risalto il paragone forse più consono al disco, ovvero "Hats" dei Blue Nile, del quale spesso le canzoni citano il crescendo epico e mnimale che lo ha reso epocale.
“Who Is The Sender?” è un album che potremmo definire metafisico, dove puoi ascoltare delle canzoni-preghiere, che non riesci a immaginare se non accompagnate dal suono dell’organo e da un coro neo-gospel (“Bring It On Lord”), o nel quale si alternano ballate pianistiche (“Order Of The Day”) che farebbero invidia a molti cantautori indie-folk, a brani con un quartetto d’archi e una tromba dall’intenso fascino evocativo (la title track).
In un'epoca caratterizzata da una possente produzione giornaliera musicale, un album come “Who Is The Sender?” rappresenta un eccellente intervallo creativo tra la routine e la next big thing di turno, Bill Fay è un compositore di rara intensità e bravura, capace di strapparci un'ultima lacrima con quella piccola e malinconica sinfonia chamber-folk (“World Of Life”), che chiude la sequenza delle dodici nuove canzoni del musicista inglese, prima che il remake della sua vecchia “I Hear You Calling” (una piccola "Let It Be") cali il sipario sulla sua musica, in attesa di ridestarci da questo sogno lirico e scoprire che emozionarsi è ancora possibile.
07/05/2015