Alzi la mano chi ancora si aspettava qualcosa da Janet. L'ultimogenita di casa Jackson sembrava aver definitivamente assecondato la sua natura di donna schiva e riservata, quale è sempre stata. Le ultime notizie sul suo conto l'avevano vista eclissarsi dai rotocalchi e trasferirsi a Dubai, dopo un matrimonio avvenuto in gran segreto con un noto uomo d'affari del Qatar, Wissam Al Mana.
Invece Janet ha fatto la mossa che nessuno si aspettava: si è resa artista indipendente - Rhythm Nation è la sua etichetta personale - ha tagliato ogni carosello promozionale ed è andata direttamente in tour, a ritrovare quel vecchio pubblico fedele che non l'ha mai abbandonata. Ma soprattutto ha fatto un disco che, ancora una volta, la traghetta verso una dimensione inedita, nella quale sembra trovarsi a proprio agio come non accadeva ormai da oltre un decennio.
A sette anni dall'ultimo lavoro, quel modaiolo "Discipline" tutto dubstep e micro-breakbeat, "Unbreakable" non potrebbe suonare più diverso; Janet ha impugnato la penna più inerente al suo stato d'essere e ha dato voce alla malinconia e la successiva ritrovata serenità dopo il trauma della scomparsa di Michael, ma anche alla fine della sua storica relazione con Dupri e lo sgretolamento di una carriera andata irrimediabilmente in calare dopo quella storia del capezzolo al Super Bowl. Ma tra le tracce di matrice dance-r&b del nuovo corso si susseguono senza sosta curiosi rivoli sonori e trovate particolari, che donano all'album un effetto "collagista" e mettono in luce una spiccata vena di electro-songwriter e la ritrovata partership con Jimmy Jam & Terry Lewis. "Unbreakable" gioca leggero e di sottrazione, ma il suo tappeto sonoro cangia con sorprendente coerenza da felpatissimi battiti dance a umbratili ballate pianistiche, solitarie linee di synth, chitarre e filtri elettronici applicati con sapienza.
Michael, il grande assente della sua vita, viene apertamente omaggiato da qualche momento disco-funk, come l'elegante title track e "Broken Hearts Heal", che guardano entrambe con occhio benevolo agli anni 70 senza risultare calligrafiche, ma anzi mostrando una matura verve tutta contemporanea (la seconda si chiude con un'evanescente ascesa elettronica che ricorda i lavori di Imogen Heap). La presenza di Missy Elliott e un sound quasi timbalandiano fanno di "BURNITUP!" un doveroso momento energico, mentre l'urban di "Dammn Baby", il passo andante di "The Great Forever" e l'arioso ritornello di "Shoulda Known Better" sono pura eleganza adult oriented pop. Il frizzante pop-rock di "Take Me Away" si candida come il suo pezzo più spiccatamente melodico dai tempi di "All For You".
Ma il cuore pulsante di "Unbreakable" si intravede nel momento in cui Janet trasfigura la formula, ponendo un'attenzione inedita alla composizione o qualche arrangiamento particolarmente d'effetto nella sua essenzialità, una deriva quasi indie che ricorda gli episodi di Frank Ocean. "After You Fall" è uno scarno ed emozionante momento pianistico, le intime atmosfere di "Night" e l'altro singolo "No Sleeep" schiudono la vecchia corda di velluto e accendono incenso e candele. L'attacco vintage di "Dream Maker/Euphoria" si trasforma subito in un curioso momento Motown sbavato da decostruzioni elettroniche, i continui scarti armonici sul finale di ogni fraseggio fanno di "2 B Loved" uno sbilenco r&b a passo di ballo, mentre la mini-canzone "Promise" è una delicata bossa nova dalle tinte autunnali (la versione integrale - di gran lunga più bella - si trova nella versione deluxe rinominata "Promise Of You"). Ma fanno colpo anche "Lesson Learned", semplicissima canzone country modernizzata da un calibrato lavaggio elettronico che lascia la slide come sospesa in aria, e il semplice schiocco di dita dai tratti neo-soul che tiene il tempo della spiritata "Black Eagle".
"Unbreakable" non è certo un album che fa gridare al miracolo, il minutaggio è sempre molto abbondante come da tradizione, e si potevano forse stemperare i toni eccessivamente "volemose bene" delle ultime due tracce - quella "Well Traveled" dai cori un po' tronfi, e una "Gon' B Alright" fin troppo plasmata sui Jackson 5 vecchissima maniera.
Ma nel complesso questo album è una sorpresa alquanto gradita. Nell'eterno dilemma che ogni diva pop di una certa età si trova costretta ad affrontare - stare al passo coi tempi o stare al passo con sé stessa? - Janet ha scelto la seconda, accollandosi tutti i rischi e le critiche del caso. Ma la sua arte è tutt'altro che sopita, anzi; tanto di cappello a una che, 33 anni di carriera e una manciata di dischi imprescindibili per lo sviluppo dell'r&b contemporaneo alle spalle, ancora riesce a ritagliarsi il suo posticino nel mondo con un disco che la rappresenta appieno e non ha eguali stilistici nel panorama attuale.
09/10/2015