Killing Joke

Pylon

2015 (Spinefarm)
punk, post-punk, metal
6.5

Il 2015 è un anno importante per i Killing Joke. Al di là del festeggiare il trentacinquesimo anniversario dell'esordio discografico omonimo (e pietra miliare su OndaRock), la band ha finalmente fatto uscire nelle sale cinematografiche (purtroppo poche) "The Death And Resurrection Show", un documentario che riassume attraverso materiale in gran parte inedito oltre tre decadi di carriera. 
Un atto dovuto, non fosse altro che per l'importanza di quanto consolidato nel tempo dai quattro londinesi, ovvero il ruolo di artefici di un melting pot che combina dark-punk della prima ora (stile Siouxsie), aggressività metal, pulsioni industrial/tribali e bagliori new wave
Non si può dire che il risultato sia stato sempre all'altezza della situazione, anzi, sono numerose le volte in cui chi vi scrive ha creduto che i nostri avessero perso la bussola. Eppure, nell'opera di Jaz Coleman e soci, c'è sempre stata una sincera chiarezza d'intenti, descrivibile più o meno come la volontà di produrre musica che scaturisse da quel preciso momento storico e, soprattutto, personale. 

E oggi che cosa c'è nel momento personale dei Killing Joke? Un nuovo capitolo, che chiude idealmente una trilogia cominciata con "Absolute Dissent" e proseguita con "MMXII", due episodi a onor del vero piuttosto in secondo piano nel ritratto di famiglia. 
Già a proposito del titolo, "Pylon", vale la pena fare una piccola digressione.
Coleman ha sempre specificato quanto i Killing Joke rappresentino una vera e propria "scuola di autoapprendimento", nella quale i membri condividono letture inerenti l'insofferenza nei confronti delle corporazioni/mezzi di informazione, il perseguimento di ideali di ecosostenibilità e la passione per l'esoterismo (con qualche intoppo, come in occasione della fallita previsione di apocalisse che li aveva spinti a isolarsi in Islanda nel 1982). 
Queste tematiche (rintracciabili in quasi tutti i loro testi) trovano la loro rappresentazione simbolica anche in "Pylon", che intende riferirsi sia alle cosiddette torri GWEN raffigurate nella copertina, sia all'undicesima sephirot (Daat) nell'albero della vita della Kabbalah, la sephirot nascosta, che non entra solitamente nel computo delle dieci e che rappresenta la conoscenza delle cose universali e il superamento dell'individualità.
Considerando invece la trilogia nel suo complesso, il disco ha il compito di tirare le fila dell'operazione.
 
Se è vero che da diverso tempo non si può più pretendere che i Killing Joke siano ambasciatori di qualche novità stilistica, si può invece affermare che abbiano ancora le carte per risultare godibili quando mettono in scena la propria storia con sincerità.
L'assalto punk dell'iniziale "Autonomous Zone" è materiale KJ senza compromessi, quasi una sorta di bignami. Nella successiva "Dawn Of The Hive" la chitarra di Geordie Walker entra a gamba tesa con un riff di stampo metal ma, proprio mentre ci si prepara a quella che potrebbe essere un'escalation, parte un ritornello snello ed etereo che ha la forza dell'inaspettata quadratura del cerchio.  
La terza traccia "New Cold War" è invece una piccola perla, la somma perfetta di chitarre post-punk, ritmica disco e voce tanto crepuscolare nella strofa quanto viscerale nel ritornello. Un pezzo vibrante, dall'arrangiamento quasi orchestrale (Coleman è conduttore di archi e ha lavorato parecchio con la Prague Symphony Orchestra) e chiaro rimando alla nuova guerra fredda tra Usa, Russia ed Europa, decretata di fatto dalle crisi ucraina e siriana.
Eccola l'istantanea del momento presente della band, quella che sa catturare lo smalto ancora lucido di quattro musicisti di nuovo in salute, come forse non mai da quando si è ricostituita la line-up originale nel 2008.

Insomma, si arriva ad "Euphoria" (uno dei due singoli che hanno anticipato l'album) con la netta sensazione di avere tra le mani qualcosa di piu di quel che ci si aspettava, a cominciare dalla migliore qualità nella scrittura, seppur con una durata media dei brani spesso eccessiva. Lo stesso discorso vale anche per l'evocativa "New Jerusalem", che disegna campi di battaglia già soltanto con il suo incedere marziale.
Un paio di cadute di tono arrivano con il mainstream rock anni Ottanta di "Big Buzz" e quello anni Novanta di "War On Freedom", due episodi che non sortiscono particolare effetto se non quello di apparire un po' fuori contesto. Il grido oltretombale nel ritornello dell'altro singolo "I Am The Virus" è invece portatore sano del messaggio anti-sistema e complottista della band, declamato con la consueta ossessività da Coleman ("I am the fury/ The spirit of outrage/ I am the fire/ I am the furnace/ Where resentment glows/ I am the bias/ I am the virus").
 
Chiude il disco la cavalcata metal "Into The Unknown", ulteriore testimonianza della volontà dei Killing Joke di far pace con il passato e riassumerlo senza troppi patemi d'animo o aspettative da soddisfare, considerazione valida anche dal punto di vista generale, tenuto conto che "Pylon" rinuncia a prendere una direzione precisa e preferisce sintetizzare quello che riesce meglio al gruppo, lasciando che tutti se ne facciano una ragione.
Che sia questo aspetto a spiegare il riferimento simbolico al superamento dell'individualità non è chiaro, ma è probabile che l'aiuto di Tom Dalgety in veste di coproduttore (già al lavoro con Royal Blood e The Maccabees) abbia garantito che il tutto confluisse in un corpus il più possibile omogeneo. Poco importa se il canovaccio dei brani possa a tratti risultare ripetitivo, perché si tratta in fin dei conti di quello che anche il documentario autobiografico promette sin dal nome, un "Death And Resurrection Show".
E con la morte/resurrezione artistica i Killing Joke ci hanno sempre scherzato.

24/10/2015

Tracklist

1. Autonomous Zone
2. Dawn Of The Hive
3. New Cold War
4. Euphoria
5. New Jerusalem
6. War On Freedom
7. Big Buzz
8. Delete
9. I Am The Virus
10. Into The Unknown

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