Al traguardo del terzo album di studio, il cantautore romano Simone Avincola aggiunge colori nuovi e differenti suggestioni alla sua tavolozza sonora: il risultato è un altro convincente passo avanti, forse l’episodio più maturo tra quelli proposti finora. “Km 28” è un viaggio dolce-amaro lungo dieci canzoni: misurato e ben focalizzato, non appesantito da alcun brano-riempitivo, proprio come si usava fare un tempo presso la leva cantautorale di generazioni che nulla hanno a che fare con la sua a livello anagrafico.
Simone, cantante e chitarrista, ha 27 anni ma le idee già molto chiare riguardo suoni, testi e arrangiamenti. Segue la sua strada assorbendo storie e gesti, avventurandosi alla scoperta della città come farebbe un cowboy metropolitano a cavallo di uno scooter con qualche chilometro di troppo.
Le sue storie vivono in bilico tra favola e realtà, lirismo e malinconia. La penna alterna felicemente registri di aspro realismo e ironia surreal-demenziale. Caratteristiche che in tempi diversi hanno attratto artisti di nome (Roberto "Freak" Antoni, Riccardo Sinigallia, Fiorello) i quali a vario titolo hanno poi collaborato con Avincola riconoscendo un talento in rapida crescita.Qua e là fra le canzoni si rincorrono echi di maestri più o meno conosciuti (De Gregori, Guccini, Fossati, Rosso, Fanigliulo), un sound che vira però spesso e volentieri verso il folk-rock o il country & western di matrice americana. Molti dei brani prendono vita a partire da una suggestione di chitarra acustica seguita a ruota dalla sezione ritmica, dal piano o dalle tastiere (e non ci stancheremo di sottolineare l’estro del buon Edoardo Petretti), quindi dalla sei corde elettrica. Talvolta parrebbe di ascoltare un rockabilly contemporaneo à-la Johnny Cash, e invece è il dialetto romanesco che si alterna alla lingua italiana tratteggiando storie di cialtroni, banditi o carcerati, disillusi o presunti perdenti verso cui sembra virare la curiosità, l’attenzione e la sensibilità poetica del cantautore.
Nel disco c’è spazio per la satira leggera dei costumi e delle abitudini contemporanee, così come per riflessioni più profonde sul tema del libero arbitrio, per esempio. Le ballate – una su tutte, la pianistica “Non lasciarti andare via” – sussurrano di amori perduti e di altri ritrovati, con tono intimista e un timbro vocale talvolta quasi femminile. In conclusione, fa piacere ritrovare e consigliare l’ascolto di un giovane artista come Avincola: non sono molti i talenti emergenti tra i suoi coetanei, il suo valore spicca e ci auguriamo possa condurlo là dove merita: orgogliosamente fuori dalle logiche dei talent-show, dalla gavetta vecchio stile alla notorietà.
09/05/2015