I primi passi del musicista australiano sono documentati negli album dei Seekae, un gruppo apprezzato per l’originale fusione di ambient, glitch e hip-hop (da segnalare l’album “The Sound Of Trees Falling On People”). L’ossessione principale di Alex Cameron resta però Alan Vega e il suo minimale rock’n’roll elettronico.
Con l’aiuto di un sassofonista (Roy Molloy) e un po’ di sana follia, il musicista realizza “Jumping The Shark”, mettendolo a disposizione gratuitamente sul suo sito.
Dopo un concerto a Parigi, la carriera di Alex Cameron prende un’altra direzione: la consacrazione avviene all’after show del Pitchfork Festival dove si salda l’amicizia con i Foxygen.
Interessante e stimolante, l’album mette insieme ossessioni elettroniche e pop cantautorale, quasi un incrocio tra Roy Orbison e gli Explosion In The Sky, derubricato dell’imponenza vocale o strumentale. Dietro la coltre di synth e poche sparute incursioni di sax è facile intravedere un vissuto molto particolare e avvincente. Cameron mette a nudo emozioni e personalità con una lucidità lirica encomiabile, ed è proprio in questa capacità di coinvolgere l’ascoltatore che risiede il fascino di “Jumping The Shark”.
Non v’è nulla di rivoluzionario o sconvolgente nel melanconico pop retrò dell’artista australiano, ma l’incastro tra pulsioni rock’n’roll post-Suicide (“The Comeback”) e il lieve tocco gothic alla Nick Cave (“Taking Care Of Business) alla fine funziona.
Gli evidenti limiti creativi e di scrittura non inficiano il risultato, il pop kraut-izzato di “She’s Mine”, il country-pop alla Eagles in chiave elettronica di “Happy Ending” e il robotico pop Bowie-style di “Mongrel” si fanno ascoltare con piacere.
D’altro canto, le tentazioni sperimentali di “Gone South” e della suggestiva “The Internet” evidenziano un leggero disincanto poetico che, unito al volontario citazionismo dell’elettronica anni 80, invita l’ascoltatore a non prendere troppo sul serio l'album.
Se il rock’n’roll è il linguaggio di una generazione che non trova altra potenziale voce per esprimere se stessa, non c’è dubbio che Alex Cameron abbia scoperto una forma gradevole per raccontarci la sua storia: una storia semplice, fragile, come la sua musica, a volte prevedibile, gustosa e rinfrescante come un buon bicchiere di birra.
Se cercate profondità e spessore, forse questa non è la vostra cup of tea, anche se non sarà facile sottovalutare il potenziale fascino cult di “Jumping The Shark”.
(02/12/2016)