Euros Childs è uno di quegli autori che non sanno astenersi dall’incidere e pubblicare qualunque cosa passi loro per la testa. Una sovraesposizione che si traduce poi di fatto in sostanziale medietà, avvicinando il tenore dei migliori Gorky’s Zygotic Mynci o sconfinando nell’atrocità pop solo in rarissimi casi. L’unica uscita in calendario per il 2016 (sul filo di lana in realtà), questo dodicesimo lavoro a suo nome (seppur co-sceneggiato dall’amico Stephen Black, in arte Sweet Baboo), rientra purtroppo nel novero dei passaggi da evitare come la peste, e sì che la copertina non fa proprio nulla per incoraggiare gli incauti avventori a spendersi nell’ascolto.
Elettronica pidocchiosa, tastierine giocattolo, gorgheggi viscosi, coretti alla melassa e loop vocali informi rappresentano gli ingredienti tramite cui allestire due dozzine di scherzi rigorosamente virati al rancido (“Iranian Waters”), un’infilata di sgorbi rumoristi o infantilismi da sciroccati degni del Mark Linkous più marginale (“All Across The Car Park”) ma anche prove di un’imbarazzante amatorialità che, tra echi, delay e inversioni del flusso sonoro, paiono l’opera maldestra di un ragazzino di undici anni ai primi cazzeggi con un registratore a due piste.
Stilisticamente e qualitativamente questo viaggio nelle alienazioni del Nostro – tra il primissimo Beck e la peggiore fuffa sperimentale della Plastic Ono Band – si colloca dalle parti dei Cousins, il deludente progetto condiviso con l’ex-Race Horses Meilyr Jones, per quanto Euros abbia saputo fare anche di peggio in solitaria (il terribile “Face Dripping”, 2010) o ancora in combutta con Black (gli infimi Short & Curlies).
Per incontrare l’ombra di una canzone fatta occorre attendere la traccia numero nove, “Farm Fun”, che, in barba al titolo, si rivela peraltro l’ennesima cantata anemica e dimessa del lotto. Le cose funzionano meglio solo nella seconda facciata: se “Godalming” ci offre un barlume del talento melodico di Childs (pur presentato attraverso il filtro disturbante dei più sterili onanismi lennoniani) e “Pick It Up” arriva a fatica al carino (negli album meritevoli non sarebbe nulla più che un riempitivo), il meglio è forse rappresentato da una sacrificata “Two Friends Looking Out At Sea”, cui pure non si perdona la velleitaria imitazione dello standard del capolavoro di Kozelek & LaValle.
A fronte di qualche passaggio interessante come “Round About Now”, in cui la proverbiale nostalgia del gallese trova uno sfogo abbastanza compiuto e convincente, nonostante la confezione povera, o le dolci insinuazioni strumentali di “Under Oolite”, tocca registrare come il freno a mano risulti costantemente tirato e l’atmosfera generale resti tetra, sconsolata, rinunciataria. I tanti episodi non citati, lo diciamo senza mezzi termini, sono pura immondizia.
Chi ha amato i Gorky’s Zygotic Mynci si tenga alla larga e provi a consolarsi con il più parsimonioso e affidabile Richard James, che della band era il primo chitarrista e ha da poco rilasciato il suo quarto album solista in undici anni.
10/01/2017