Il nome di Mario Bertoncini è rimasto lungamente al di fuori di tutti i più blasonati circoli dell'avanguardia musicale italiana, sebbene il compositore romano (oggi ottantaquatrenne) vanti un curriculum personale di tutto rispetto, avendo studiato, tra gli altri, con Bruno Maderna e avendo poi partecipato (dal 1965 al 1972) agli happening aleatori del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza (quindi al fianco di Franco Evangelisti, Egisto Macchi, Giancarlo Schiaffini ed Ennio Morricone).
Bertoncini, però, è rimasto alla storia come uno dei pionieri europei della "sculpture music" (o "sound sculpture"), ovvero delle sculture sonore, da lui stesso progettate e costruite. La particolarità di queste sue creazioni è che sono arpe eoliche, ovvero delle particolari arpe che producono suoni (o musica, a seconda delle percezioni individuali) mediante le vibrazioni di particolari aste, molle, ingranaggi e membrane metalliche ad opera del vento o di spostamenti d'aria.
Se nel capolavoro di David Tudor, "Rainforest" (1968) era il pubblico a generare i suoni della gigantesca scultura in questione, qui sono invece degli agenti naturali e solo in rari casi si è intervenuti mediante delle manipolazioni o delle amplificazioni elettroniche.
"Chanson pour instrument à vent" è qui proposta in due versioni, la prima (quella originale del 1974) caratterizzata da risonanze armoniche non circolari, ma aspre e penetranti, mentre la seconda (del 2000) è pregna di un senso panico.
La grande scultura sonora utilizzata in "Istantanee I" (1995) è invece lasciata libera di suonare (o meglio, di "vibrare") al vento in un bosco della Prussia e i suoni della natura qui catturati (compresi i cinguetii di uccelli e l'abbaiare dei cani) involontariamente confluiscono in una "non composizione" dai toni drammatici e rarefatti.
La seconda versione dello stesso pezzo, "Istantanee II", realizzata al Goethe Institut di Roma nel 2006, nonostante utilizzi la medesima scultura offre scenari apocalittici ove si raggiungono spasmodici livelli di angoscia (Stanley Kubrick l'avrebbe sicuramente scelta per la colonna sonora di "Shining").
"Chain Reaction", un lavoro interattivo del 1973 realizzato con la complicità del pittore Peter Sedgley, è sicuramente la piece più astratta del lotto. Fiore all'occhiello di questa buona antologia è "Fuochi", realizzata su campioni di arpa eolica registrati nel 1982 e poi riprocessati al computer quindici anni dopo. Peccato che si tratti solo di una "introduzione" (dalla durata di cinque minuti scarsi), perché sarebbe stato sicuramente ottimale sviluppare a fondo un'ottima idea di partenza, dove il "deep listening" raggiunge traguardi notevoli (si ha l'impressione di entrare in una galleria del vento, dove si viene completamete investiti da un magma incandescente di suoni).
Come al solito, pregevole sia la veste grafica della Die Schachtel (leggermente differente dalla precedente versione in cd del 2007, oggi esaurita) sia della qualità del supporto in vinile (di cui sono stati stampati solo quattrocento esemplari). Si tratta, in tutti i sensi, di un esauriente compendio artistico di questo bizzarro Michelangelo della musica "avantgarde" italiana.
Sempre da questa emerita label milanese è ora uscito un curioso disco, accreditato a un misterioso collettivo, Arke Sinth, in cui militava un giovane Alvise Vidolin (oggi affermato sound designer) e altri studenti di Teresa Rampazzi. I loro collage elettronici, a tratti ingenui ma spesso intriganti e fantasiosi, erano comunque un qualcosa di particolare in quel periodo in cui furono realizzati (primi anni Settanta).
31/07/2016