Con "The Machine Stops" (2016) gli Hawkwind avevano fatto intendere che la loro "macchina argentata" si fosse fermata, ma trattandosi di Dave Brock le sorprese non potevano mancare. A un anno esatto di distanza esce quindi il sequel intitolato "Into The Woods", continuazione della storia cominciata proprio in "The Machine Stops", il cui distopico futuro è ora ambientato in campagna grazie all'ispirazione che Dave Brock ha avuto nella sua fattoria nel Devon.
La formazione impegnata nella realizzazione del trentesimo album comprende - oltre al timoniere Dave Brock (chitarra, tastiere, synth, voce) - Jonathan "Mr Dibs" Derbyshire (basso, voce), Niall Hone (basso, tastiere, chitarra), Haz Wheaton (basso), Richard Chadwick (batteria, voce) e Tim Blake (tastiere, virtual guitar). Esteticamente, il disco si presenta con il classico siderale wall of sound degli Hawkwind: ritmi granitici, assoli di chitarra in prima linea, sintetizzatori che ribollono sullo sfondo, frequenti torsioni stilistiche. Ciò che cambia è tuttavia la location: siamo infatti dinanzi a un disco più terreno, che vuole evocare la magia e il mistero, ma anche l'ostilità della natura che ci circonda. Già la title track, posta in apertura con i suoi tenaci riff e la sua filastrocca minacciosa ("vi stavamo aspettando" declama persino Brock!), fa presagire all'ascoltatore di essere entrato in un posto colmo di trappole e insidie.
Non va meglio quando si gira l'angolo e ci si scontra con le intimidatorie "Cottage In The Woods" e "The Woodpecker", coi rumori della natura imitati dagli strumenti a gettare l'ascoltatore nella più completa paranoia. Fortunatamente ci pensa la verve psichedelica di "Have You Seen Them" - edita come singolo - a riportarci per un momento in territori gioviali e sicuri. Nel corso del disco gli Hawkwind dimostrano di essere sempre fedeli al loro prototipo del rock, seppur aggiungendo qualche variazione sul tema, come l'R&B sinistro di "Vegan Lunch", il celestiale boogie di "Magic Scenes" o lo stranissimo country-space-blues di "Space Ship Blues", tra malevoli banjo e synth vorticosi.
In questo tripudio di varietà stilistica uno dei pezzi meglio riusciti del novero è la sonica "Wood Nymph", mentre chiudono i nove minuti di trance condotti da organo e chitarra di "Magic Mushroom", che sembrano ricondurci lassù, nello spazio dove gli Hawkwind hanno fatto la loro storia e plasmato un culto musicale destinato a reclutare numerosi adepti.
Dopo cinquant'anni di attività e al trentesimo album in studio, gli Hawkwind dimostrano di aver ancora qualcosa da dire e di sapersi mettere in gioco con un disco variegato e di buona fattura. E stiamo pur certi che finché Brock sarà al timone di questa confraternita spaziale la saga degli Hawkwind sarà sempre in mani sicure.
29/05/2017