Non provate neanche per un istante a catalogarlo, a cercare di racchiudere un simile album in qualche ristretta e grossolana (per lo scopo) maglia di genere. Se già la label per cui esce è un forte indizio, ci pensa lo stesso producer a plasmare la sua musica di modo tale da essere materia fluida, imprendibile, assolutamente libera da ogni catalogazione. L'uso del wonky come contenitore pigliatutto è insomma un indice di comodo, inquadra più l'attitudine alla fusione e al sincretismo elettronico piuttosto che una precisa collocazione stilistica, di fatto inesistente. In un processo compositivo lunghissimo, definito da Iglooghost sfibrante e provante dal punto di vista psicofisico (l'ascolto non tarda a palesare il perché) il geniale irlandese taglia, cuce e sovrappone centinaia se non migliaia di filamenti sonori, accorpando le più disparate tendenze e direttrici in un unicum compatto e adeguatamente sviscerato, su un crocevia affollatissimo di presenze, ma accomunato da un mood unitario, che le raggruppa sotto la sua egida. Che si tratti di footwork, breakbeat, pc-music, o addirittura electro dai contorni onirici (come nella più sfumata ballad “Infinite Mint”, con la collaborazione della musicista ambient-pop Cuushe), rimane intatta un'atmosfera di sfrenata giocosità e divertimento, come se in fondo si fosse i protagonisti del più imponente, colorato e caramelloso videogioco mai creato, di quelli che riservano una sorpresa dietro ogni angolo e che non lasciano un momento di tregua a chi vi si immerge.
Se questo bombardamento uditivo potrà risultare quantomeno eccessivo per molti, rimane comunque parte integrante dell'attrattiva della proposta, della sua diversità. “Bug Thief” introduce un apparente momento di calma nel pandemonio generale, piazzando delle linee pulite di tastiera all'inizio, prima che le vocine super-pitchate e i contributi pseudo-rap entrino in campo e alterino sensibilmente i connotati del brano, tra stacchi footwork e segmentazioni glitch-hop. “Purity Shards” crea quasi una tensione misterica, sviluppando una sorta di capitolo oscuro nella storia attraverso una gestione più dosata del ritmo e una maggiore asciuttezza compositiva, per un interludio tanto potente quanto i pezzi più estesi.
Il gioco delle caratterizzazioni può andare avanti per ogni singolo brano. Vale comunque la pena evidenziare la semplicità e l'efficacia con cui l'irlandese gioca con breakcore e jazz negli incastri a perdifiato di “Super Ink Burst”, infilando senza sforzo anche curiosi richiami r&b, in un sample (courtesy of Charlotte Day Wilson) che si ripete a mo' di impronta lungo tutto quanto l'album, o l'imponenza strutturale di “Teal Yomi / Olivine”, quasi una sorta di Venetian Snares in chiave cartoon, prima che il rap di Mr. Yote spezzi all'improvviso le mitragliate drill'n'bass e fornisca un primo brandello di umanità al digitalismo soverchiante del lavoro. Inevitabile che chi è in cerca di maggiore asciuttezza o addirittura minimalismo di un album come “Neō Wax Bloom” non può farsene assolutamente niente. Chi abbia invece voglia di entrare in contatto con un mondo creato completamente da zero, di lasciarsi sommergere da una valanga di suoni e riferimenti, qui troverà pane per i suoi denti.
(02/01/2018)