Da incendiari a pompieri, il passo talvolta è breve. Un po' troppo, in verità, per chi - come Serge Pizzorno e Tom Meighan - a un certo punto sembrava essersi davvero messo sulle spalle l'ingombrante fardello di ruolo di portacolori della galassia brit in questo nuovo millennio. E invece, un album dopo l'altro, la band inglese ha inanellato promesse che, alla resa dei conti, non sono mai state del tutto mantenute. Anzi, proprio nel momento in cui i Kasabian piazzavano quello che era in qualche modo il vero (e forse unico) tentativo di uscire dalla comfort zone, leggi alla voce "The West Rider Pauper Lunatic Asylum", ecco che subito dopo con "Velociraptor!" enunciavano una volontà che si è fatta via via sempre più palese nei passaggi successivi: quella più prosaica (e remunerativa) di piazzare più hit possibili in classifica, di abbracciare il pubblico di altri stadi oltre a quello di Leicester dove, peraltro, hanno festeggiato e al tempo stesso reso gli onori di casa in occasione della imprevedibile vittoria del campionato da parte della (ormai ex) squadra di Claudio Ranieri. Non esattamente quello che in molti là fuori si aspettavano dal progetto sulla carta più talentuoso della sua generazione.
In tutto questo non c'è nulla di male, a parte quel poco di rammarico a cui già accennavamo tre anni or sono. In un progressivo smarcamento rispetto alle origini, ma tenendo fondamentalmente le scarpe sia nell'ambito "alternativo" che in quello "mainstream", Pizzorno e compagni si sono tolti tutte le soddisfazioni del caso. La differenza sostanziale tra un album come "48:13" e "For Crying Out Loud", peraltro accomunati da copertine di rara bruttezza, non è negli intenti - come vorrebbero farci credere loro - quanto nella resa finale. Si può discutere del fatto che pure allora ci fosse più apparenza che effettiva sostanza nella formula dei Kasabian, ma le varie "Bumblebee", "Eez-eh", "Stevie" e "Clouds" producevano davvero un effetto trascinante, o perlomeno apparivano credibili anche al netto dell'ipertrofica produzione che dettava legge. Ecco: in confronto, il singolo "You're In Love With A Psycho" o le anfetaminiche "Ill Ray (The King)" e "Twentyfourseven" sfigurano proprio perché cercano di ricalcare quei passi, ma con meno idee e apparente convinzione.
Serge Pizzorno ha enfatizzato la scelta di tornare alle chitarre e a un'idea invero piuttosto personale del classic rock, quasi che al giorno d'oggi fosse rivoluzionario imbracciare una chitarra anziché cimentarsi ai synth, ma la verità è che "For Crying Out Loud" è un bignamino di tutto quello che i Kasabian sono - o forse sono stati. Al di là di certe pretese danzerecce sopracitate, scorgiamo una "The Party Never Ends" che torna stancamente proprio nei territori di "West Rider Pauper", una "Wasted" che bazzica i territori del power-pop in salsa britannica, una "Comeback Kid" confezionata per esplodere nel più classico (e banale) dei cori da stadio, una "Are You Looking For Action" da dancefloor settantiano, e poi l'immancabile ballata acustica "All Through The Night" che comunque, nel contesto, non sfigura.
Facile, proprio a causa del contesto, trovare a occhi chiusi i migliori capitoli del lotto: "Good Fight", un onesto midtempo incorniciato da un ritornello appiccicoso, e ancora più "God Bless This Acid House", le chitarre elettriche a far decollare un pezzone che sembra voler mettere d'accordo l'insostenibile spensieratezza del britpop e gli scenari surf-rock dei Beach Boys (con tanto di coretti d'ordinanza). Un po' pochino, per la verità, ma di questi tempi meglio che niente.
21/06/2017