In tutto questo non c'è nulla di male, a parte quel poco di rammarico a cui già accennavamo tre anni or sono. In un progressivo smarcamento rispetto alle origini, ma tenendo fondamentalmente le scarpe sia nell'ambito "alternativo" che in quello "mainstream", Pizzorno e compagni si sono tolti tutte le soddisfazioni del caso. La differenza sostanziale tra un album come "48:13" e "For Crying Out Loud", peraltro accomunati da copertine di rara bruttezza, non è negli intenti - come vorrebbero farci credere loro - quanto nella resa finale. Si può discutere del fatto che pure allora ci fosse più apparenza che effettiva sostanza nella formula dei Kasabian, ma le varie "Bumblebee", "Eez-eh", "Stevie" e "Clouds" producevano davvero un effetto trascinante, o perlomeno apparivano credibili anche al netto dell'ipertrofica produzione che dettava legge. Ecco: in confronto, il singolo "You're In Love With A Psycho" o le anfetaminiche "Ill Ray (The King)" e "Twentyfourseven" sfigurano proprio perché cercano di ricalcare quei passi, ma con meno idee e apparente convinzione.
Serge Pizzorno ha enfatizzato la scelta di tornare alle chitarre e a un'idea invero piuttosto personale del classic rock, quasi che al giorno d'oggi fosse rivoluzionario imbracciare una chitarra anziché cimentarsi ai synth, ma la verità è che "For Crying Out Loud" è un bignamino di tutto quello che i Kasabian sono - o forse sono stati. Al di là di certe pretese danzerecce sopracitate, scorgiamo una "The Party Never Ends" che torna stancamente proprio nei territori di "West Rider Pauper", una "Wasted" che bazzica i territori del power-pop in salsa britannica, una "Comeback Kid" confezionata per esplodere nel più classico (e banale) dei cori da stadio, una "Are You Looking For Action" da dancefloor settantiano, e poi l'immancabile ballata acustica "All Through The Night" che comunque, nel contesto, non sfigura.
Facile, proprio a causa del contesto, trovare a occhi chiusi i migliori capitoli del lotto: "Good Fight", un onesto midtempo incorniciato da un ritornello appiccicoso, e ancora più "God Bless This Acid House", le chitarre elettriche a far decollare un pezzone che sembra voler mettere d'accordo l'insostenibile spensieratezza del britpop e gli scenari surf-rock dei Beach Boys (con tanto di coretti d'ordinanza). Un po' pochino, per la verità, ma di questi tempi meglio che niente.
(21/06/2017)