Angelo Bignamini, già batterista dei Great Saunites, torna per l'ultima volta alla sua sigla Lucifer Big Band per "Atto III", un'unica composizione di trentotto minuti.
L'inizio è inquieto e d'effetto, un gorgo che assume i connotati di tregenda metropolitana "Blade Runner"-iana. Nel trambusto emerge un filo di requiem (Constance Demby per la musica industriale?), subito schiacciato da una danza astratta imbastita dai distorsori.
Nel mezzo viene un adagio d'avanguardia dodecafonica (forse il momento migliore), sugli echi del rave precedente; brandelli di jazz (batteria, piano, chitarra, sax) fluttuano in un'allucinazione cosmica al ralenti. Si torna poi alle marcature del tempo I, a suon di presse e synth che però non si avvicinano alla sottigliezza di Residents e Faust, e forse nemmeno ai Fuck Buttons. La conclusione è un dub elettronico che si aggira circospetto in un campo elettrico ad alta tensione.
Notevole per l'uso, pur non impeccabile, della tecnica mista, è un modulato trip in sei movimenti ("Morte" - "Caduta" - "Sala di aspetto" - "Colloquio" - "Espiazione" - "Rinascita") che procede ossessivamente e un po' affannosamente per sintesi additiva, sovrapposizioni e accumulazioni. Spicca, come per i suoi predecessori "Atto I" (2012) e "Atto II" (2014) - di cui rappresenta l'ideale intersezione che chiude la saga - per il coraggio e l'ambizione, e stavolta anche per la suggestione visiva o para-visiva. Ma, come dire, si sentono più intenzioni che idee, armature sovrabbondanti sul corpo. Ennesima torre nell'elettronica di ricerca, sia nella sua carriera che, forse, anche nel panorama italico degli anni 10, anche se la musica incidentale del coevo progetto FILTRO (con Luca De Biasi dei Satantango) lo supera.
22/05/2017