Sembra proprio essere venuto il momento di Lucio Corsi, giovane ed eccentrico cantautore grossetano (e quindi nell’orbita di quella miniscena composta insieme agli Abiku) che già si è fatto notare, per il suo essere sghembo senza furbizie, scapigliato ma appassionato studioso. Qui, dopo un paio di Ep poi pubblicati insieme, Lucio si cimenta sul terreno scivoloso del cantautorato “meta-morfico” e istintivo, del ritorno consapevole all’infanzia (magari, mai abbandonata), dell’uso della favola per rappresentare le proprie esperienze. Un filone scivoloso, perché interpretato da mostri sacri così come calpestato in tempi recenti, e intrinsecamente pericoloso, perché ripercorrere l’infanzia mette spesso a nudo la presenza di idee che la distorcono e la propria faciloneria d’adulto.
Invece, nonostante la breve gestazione (almeno in fase di registrazione) del disco, avvenuta nella casa di campagna maremmana di famiglia, “Bestiario musicale” stupisce per la profondità del suo disegno, tra arrangiamenti degni di un Sufjan Stevens buttero (“L’upupa”, il singolo “La lepre”) e una capacità lirica da vero ammaestratore.
Un po’ l’irrequietezza romantica, nostalgica, irsuta di Lucio Dalla (presente anche negli Abiku, qui nell’ottima “La volpe”), un po’ la giocoleria paroliera di Bruno Lauzi, sotto sotto l’aspirazione a dialogare con la generazione dei cantautori-poeti (“La lepre”, “L’istrice”, “L’upupa”): “Bestiario musicale” è in realtà abile a fare sua la tradizione, proiettandola nel suo piccolo ambiente di tenda per bambini, illuminato di figure stilizzate e dimentico del mondo esterno.
Come nella vera letteratura per bambini, le canzoni del “Bestiario” possono essere lette per un verso o per l’altro, oppure in tutti i versi insieme; nella semplice constatazione che i bambini non sono esseri diversi dagli adulti a cui somministrare, più o meno a tentoni, contenuti semplificati (quelli stanno solo nella mente dell’adulto “semplice” o pigro). Nonostante manchi spesso, ai pezzi, una vera identità melodica (fino a diventare mero divertissement d’accompagnamento rinascimentale per il divertente spoken word di Lucio ne “La lucertola”), sono gli arrangiamenti il vero fuoco del disco, composti all’insegna di un Diy minimalista e cangiante, accesi di glam ne “Il lupo”, di una grandeur da cameretta in “Il cinghiale”, come in uno spettacolo teatrale in cui a parlare è la scenografia, e non gli attori.
Pur nell’abito estremamente elegante (l’elegia notturna de “La civetta”) e nel carattere vulcanico, orgogliosamente “di traverso” di Lucio, il “Bestiario musicale” è un’opera leggera, Miyazaki-ana nello spirito (e finalmente italiana senza rimpianti nella sostanza), quasi timida nel proporre il proprio sguardo sul mondo, consapevole del peso di avere i mezzi, per una volta, per disegnare il mondo come lo si vorrebbe. Mostrando invece, così, l’immenso potere di una mente in grado di immaginare la possibilità, quello che spesso viene a mancare negli adulti.
14/02/2017