Ho ancora presente il periodo degli ascolti smodati di "Sun Structures", un lavoro che univa l'arcaico del rock al presunto decadentismo dell'indie più eclettico del Regno Unito. Un disco più spigoloso dell'ultima uscita, "Volcano", ma al contempo più barocco e grigio rispetto al contesto cartoonesco e colorato di quest'ultimo.
La sensazione è che il songwriting cerchi di rifarsi al pop d'autore britannico storico (Kinks, Beatles, Pretty Things, Hollies) ma che per eccesso di ricercatezza perda qualcosa in termini di spontaneità, laddove invece i brani di "Sun Structures" mostravano un'immediatezza che custodiva la fortuna della band.
"Volcano", di contro, lo spettro sonoro lo riempie anche troppo. Così facendo, la proposta si è un po' annacquata, perdendo in forza evocativa. Si nota una decisa sterzata sintetica, con una drastica riduzione delle chitarre a favore di tastiere e synth. Questo scambio tra elementi principali si è risolto in un disco cervellotico, sovrabbondante, ma non per questo privo di pregiati spunti pop.
"Certainty" è il biglietto da visita: il basso pulsante è l'elemento che assieme alle trionfali tastiere avvolge questo brano dal sapore 60's ma al contempo capace di strizzare l'occhio all'hypnagogic pop in voga qualche anno fa. "(I Want To Be Your) Mirror" è un brano di progressive romantico che sembra provenire da un'epoca lontana, quella in cui l'orchestra fantasma del Mellotron accarezzava profonde e lussureggianti melodie. Sembra essere proprio questa la veste in cui il quartetto ha la massima resa. Prog che fa capolino anche nel tema portante di "Mystery Of Pop", più in generale debitrice anche del glam-rock degli Sparks.
"Roman Godlike Man" sorprende per una commistione tra una melodia meravigliosamente Kinks-iana e un ostinato di basso che lambisce la new wave, con una marzialità e un'interpretazione memore del post-punk inglese. Il secondo singolo "Strange Or Be Forgotten" è il brano più arioso, ma non decolla, forse a causa della timida interpretazione vocale, che non regge l'atmosfera epica. Si avverte una certa stanchezza, paradossalmente proprio laddove la ricerca armonica si fa più irregolare. "All Join In" ha dei buoni spunti, rievoca i fasti del synth-pop classico, ma non si fa ricordare come potrebbe, a causa di una scrittura sì ricercata, ma troppo leziosa.
L'impressione è che i Temples cerchino a tratti di avvicinarsi alla neo-psichedelia di band come Tame Impala e MGMT, conservando intatta però l'indole artigianale del pop d'oltremanica. Ad ogni modo, sebbene la visionarietà di "Sun Structures" non trovi qui una replica sempre brillante, "Volcano" dimostra una fantasia d'arrangiamento infrequente nel pop alternativo dei giorni nostri.
17/03/2017