Fuggire dalle proprie radici per essere liberi di vivere e sognare un futuro diverso non è semplice, a volte è purtroppo necessario, soprattutto se qualcuno ha già deciso il tuo destino, donando la tua anima e il tuo corpo a qualcuno che non ami e che ti toccherà servire e onorare per il resto della vita.
Ha lasciato così il Mali, Fatoumata Diawara, senza mai dimenticare le proprie origini, anzi alzando la voce in difesa di tutte quelle donne che subiscono quotidianamente violenze indicibili, in nome di una supremazia maschile che ha le stesse regole della schiavitù.
Cantante, autrice, chitarrista e attrice, Fatoumata non accetta compromessi ideologici, né ricorre a narrazioni in terza persona nell’affrontare argomenti alquanto spinosi e dolorosi, come i matrimoni combinati o le mutilazioni genitali femminili, quest’ultime denunciate con forza nel suo primo album “Fatou” con la canzone “Boloko”: brano che doveva essere interpretato in duetto con un famoso rapper, il quale rifiutò per evitare ripercussioni sulla propria carriera.
Trasferitasi in Francia, l’attrice e cantante maliana ha coltivato le sue ambizioni entrando in contatto con artisti internazionali, tra i quali Herbie Hancock, Dee Dee Bridgewater, Afrocubism, Baaba Maal, Bobby Womack, Nicolas Jaar e perfino Paul McCartney. Due progetti discografici hanno inoltre riempito il vuoto tra l’esordio del 2011 ”Fatou” e il nuovo album “Fenfo”: il primo è quello dei “Rocket Juice & the Moon” (ovvero Damon Albarn, Tony Allen e Flea con molte guest star), il secondo è “At Home - Live in Marciac”, album dal vivo che raccoglie la lunga collaborazione con l’artista cubano Roberto Fonseca.
Messa a frutto la lunga esperienza condivisa con altri artisti, continuando a recitare in vari film, e abbracciata con passione la chitarra, Fatoumata Diawara ha esordito con una propria formazione nel 2015, calcando i palchi di tutto il mondo e ritornando a suonare anche in vari festival in terra africana. Il secondo album, “Fenfo”, non è un progetto di world-music transfuga: sul solco tracciato da Baaba Maal e Toumani Diabaté, l’artista maliana mette a nudo tutta se stessa, senza ricorrere a travestimenti stilistici o a simbolismi superflui, rinnovando la tradizione con un linguaggio moderno, diretto, urbano, per alcuni versi assimilabile al rap, pur se musicalmente a prevalere è quella malinconia quasi blues di artisti come Rokia Traoré e Oumou Sangaré, con strumenti tradizionali come il kora e il kamele ngoni, pronti a sottolineare una certa saudade tipicamente africana.
“Fenfo”, che tradotto dalla lingua bamabara è traducibile in "qualcosa da dire", è un album che ha molto da raccontare, e lo fa con uno stile a volte esuberante nella sua contaminazione pop, un piccolo schiaffo per quei puristi che continuano a esaltarsi per una world-music cristallizzata che non corrisponde più alla realtà contemporanea. E’ un afropop ricco di felici intuizioni, quello di Fatouamata Diawara, tra geniali contaminazioni funky (“Negue Negue”), leggerezze tropicali piacevolmente esotiche (“Dibi Bo”) e sintesi pop trascinanti come un rock’n’soul anni 70 (“Bonya”), anche se è nel pregevole uptempo di "Kanou Dan Yen" che la musicista trova il perfetto equilibrio tra la modernità afro-disco e le sonorità antiche della kora. Il versante più poetico e introverso gode della stessa lungimiranza creativa, tra seducenti afro-soul (“Nterini”), ballate blues ricche di sfumature strumentali e vocali (“Mama” e la title track) e un delicato omaggio alla terra natia e alla musica wassoulou (“Takamba”).
Senza rinunciare alla propria lingua bamabara, l’artista oltrepassa con classe il confine della world music, tra avventurosi blues elettrificati (“Kokoko”) e brani dalle sonorità penetranti e aspre (“Ou Y'an Ye”), i quali reinventano il canto militante di molta musica africana, rimarcando la volontà dell’autrice di evolvere la tradizione verso un moderno afro-pop dove all’ispirazione corrisponde anche una grande forza comunicativa.
A questo punto è facile prevedere per Fatoumata Diawara un futuro più che luminoso, ed è lecito anche sperare in sonorità perfino più avventurose e innovative, ispirate forse anche dal fascino del lago di Como, dove l’artista di recente ha trovato casa: a proposito, avvisate molti biografi che non vive più in Francia.
Unica avvertenza: non sentitevi offesi se parlando delle nostre tradizioni culinarie con molto candore, vi sussurrerà che per i suoi gusti la pasta italiana è troppo al dente.
06/09/2018