Il padrone di casa Sofa fa un uso moderato dell’etichetta per dare alle stampe i suoi progetti, e quando ciò accade si tratta sempre di interventi davvero significativi nel variegato discorso della pregevole label norvegese. Da anni Ingar Zach, assieme a varie formazioni (Mural, Dans les arbres, O3), lavora alacremente all’ampliamento del vocabolario percussivo contemporaneo: ciò gli è valso l’invito da parte di due membri dell’ensemble australiano Speak Percussion per collaborare al primo capitolo della serie live intitolata "Before Nightfall" – i successivi hanno visto la partecipazione dei connazionali Tony Buck (The Necks), Robbie Avenaim e Carolyn Connors, nonché degli americani Chris Corsano e Steven Schick (Bang On A Can). Di regola ciascun ospite convocato a Melbourne prende parte a un unico giorno di sessioni di prova e all’esibizione pubblica serale, così da ispirare una sintonia immediata tra i musicisti in gioco.
Eugene Ughetti (direttore artistico di Speak) e Matthias Schack-Arnott vanno a formare con Zach l’inedito trio documentato in questa mezz’ora abbondante di stretto dialogo al confine estremo con l’atonalità. Dal pioniere Lê Quan Ninh lo sperimentatore scandinavo dimostra ancora una volta di aver imparato non soltanto le tecniche percussive più originali e inusitate, atte a trasformare i tamburi in superfici sonore a sé stanti: egli ha infatti incamerato anche e soprattutto la sensibilità drammaturgica nel condurre la performance dal vivo, che assieme agli altri due solisti assume l’aspetto di una lenta e gravosa emersione da tenebre primitive.
L’intrinseca assenza di note dominanti permette di agire intorno al suono nella sua accezione più materica: così, anche in questo caso, si asseconda un’ecologia di linguaggio che sfugge allo sviluppo lineare della composizione tradizionale, registrando tutt’al più un climax ascendente nel volume e nella concitazione dei gesti.
Come il ruggito di un contrabbasso dalle corde tese a malapena, il profondo tremore di un tamburo insegue i primi passi nell’oscurità, prima che un acuto trillare di piatti e campane occupi pervasivamente lo spazio acustico. Rintocchi e vibrazioni droniche segnano il passaggio a una fase più distesa e contemplativa, memore dei rituali d’Oriente adattati alla cadenza e alla sensibilità delle interpretazioni cageane. Superato il quarto d’ora tornano in gioco elementi ritmici concreti, fruscii e clangori disordinati che a loro modo sembrano costituire un rudimentale prototipo di alfabeto Morse sonoro, mentre i successivi stridori riavvicinano idealmente la modernità industriale, conducendo gradualmente all’inquieta (non)risoluzione dell’enigma.
Scientemente fuori dal tempo e dalle barriere di genere, la ricerca di Ingar Zach e dei sodali australiani rivendica l’appartenenza a un dominio espressivo entro cui c’è ancora molto da sperimentare e osare, benché siano davvero pochi gli accoliti in grado di interpretarne il potenziale con una tale visionarietà e controllo dei propri mezzi.
30/08/2018