A memoria è la prima volta che i Liars si ripetono in modo tanto evidente. Dalla sposa “bugiarda” di “TFCF” alle spose bugiarde clonate della autoironica cover, dove Angus si presenta come antidivo per eccellenza, il passo è brevissimo quanto inatteso, soprattutto per chi - come i Liars - ha sempre abituato il pubblico a cambiamenti radicali. Un anno dopo quello che è stato a tutti gli effetti il primo album solista di Angus Andrew e dopo pochi mesi dal tentativo di colonna sonora (“1/1”), riecco i nuovi Liars con quello che potrebbe definirsi - senza rischiare smentite sdegnate - “TFCF 2”.
“Titles With The Word Fountain” mostra fin dal titolo una continuità, una serie di ben diciassette tracce che farebbero malignamente pensare di trovarsi di fronte a semplici scarti del lavoro precedente. Niente di più falso; se si cerca ragionare in termini di un unico lungo brano, tutto l’album assume significati ben nobili. Non più piccoli abbozzi di idee di pochi minuti, ma un lungo flusso sonoro fatto di sofferenza e tragedia, dove l’ironia della cover e dei live (per chi ha avuto la fortuna di assistervi) è sommersa da synth macabri e voci sospirate (“Feed Truth”), continui field recordings, strida di uccelli e bizzarre tastiere simil-Residents (“Fantail Creeps”) che in un attimo - con la semplice aggiunta di una cassa - si trasformano quasi in lounge da piano bar (“Perky Cut”).
E’ in certo senso il loro “The Faust Tapes”, l’album contenitore sparso. Tutto è un grande calderone di idee nuove e meno nuove, messe lì un po’ alla rinfusa, costantemente alla ricerca di un punto di continuità, come un flusso di coscienza solitario freudiano in stile James Joyce, che sa di lotta interiore e di dialogo con se stesso. Tutto disorienta perché apparentemente scollegato dal contesto, come la nenia per sonnambuli di “Sound Of Burning Rubbish” o il canto baritonale manipolato di “A Kind Of Stopwatch”. Quando Angus ripropone sound già noti alla sua discografia lo fa con grande classe, come quando mostra nostalgia del capolavoro “Drum’s Not Dead” (“Murdrum”) o negli esperimenti avant tribal-elettronici di “Face In Ski Mask Bodies To The Wind”, di “Left’s Got Power Right Hasn’t” o nel canto deformato di "P/A\M".
Nella sua bizzarria, “Titles With The Word Fountain” è un sincero tentativo di creare arte autentica, da elogiare e apprezzare indipendemente dal risultato raggiunto.
04/10/2018