Anche se spetta ai The Gloaming il merito di aver riportato il folk inglese di nuovo all'attenzione del pubblico, non va taciuto il fermento creativo che sta portando alla luce altri interessanti tasselli della scena alt-folk. In prima linea i Lankum (già Lynched), che dopo il magico incontro tra sacro e profano di "Between The Earth And Sky", tornano a scompigliare le carte del folk-revival.
Sono sufficienti le prime note di "The Livelong Day" per intuire che si è di fronte a un capitolo rilevante della scena musicale contemporanea, una delle più note ballate della tradizione irlandese, "The Wild Rover", diventa oggetto di una straziante e aspra rilettura dai toni apocalittici, dieci minuti che suonano come uno stridio, come il lamento di un'ipotetica sirena che prova a distrarre i marinai, veri protagonisti della ballata, nello stesso tempo messaggera di sventure e drammi.
In questo ambiguo e insano scombussolamento della cultura popolare, è racchiuso il senso profondo della musica del quartetto, abile nel rassicurare l'ascoltatore prima con una leggiadra e avvincente "The Young People" e con l'irresistibile danza di "Bear Creak", per poi affondare il coltello nelle carni ancora sanguinanti di passione, con il canto disperato di "Katie Cruel", un brano della tradizione scozzese che è entrato nella cultura americana ed è stato portato alla notorietà dalla straordinaria sensibilità artistica di Karen Dalton.
A essere onesti, tutto l'album "The Livelong Day" è intriso di presagi e oscure soluzioni armoniche, il costante flusso di drone music è più simile alle sperimentazioni dei Sunn O))) che alle grazie dei Steeleye Span. Tutto l'impianto strumentale è svuotato della sua natura più conciliante al fine di tenere alta la tensione e l'asperità della musica dei Lankum.
Quando le note più vivaci di "The Pride Of Petravore" sembrano accennare una breve tregua, la visceralità del suono stravolge la sceneggiatura strumentale con uno schema affine alla più ardimentosa psichedelia, l'estatica danza si trasforma in una marcia dai toni cavernosi e acidi, ed è di nuovo l'oscurità a impadronirsi della primitiva essenza lirica.
È infine la stessa malsana tristezza che infetta le morbide armonie di "Ode To Lullaby", un canto marinaro affidato a due violini e a una vibrazione sonora cupa e spettrale, nella quale riecheggia la natura solitaria e perigliosa dell'oceano.
L'aver introdotto nell'economia strumentale del progetto contrabbasso, mellotron, tromboni e percussioni rischiava di inficiare la natura popolare e la continuità con la tradizione della musica folk. Al contrario i Lankum hanno consolidato il loro ruolo di moderni druidi "cantori", pronti a cantar le gesta eroiche ("The Dark Eyed Gypsy") e le amare sconfitte ("Hunting The Wren") della moderna società civile, con un linguaggio musicale tra i più intensi e devastanti della moderna popular music.
19/12/2019