Dieci brani che giocano con l'immaginario dell'ascoltatore e fondono esotico, antico e futuristico, sovvertendo le immagini etnocentriche di un Iran fantasticato come arretrato, storicizzato, caricaturale. Bisogna abbandonarsi da subito al viaggio in territori nuovi, accompagnati in una geografia della suggestione da folate sonore riverberate in spettrali lande desolate, intrise di mistero ("Blood City"). Oggettivo e soggettivo si confondono in momenti onirici ("Dream", "Scattered Memories", "Greetings To Earthfire") e di febbricitante agitazione ("Colors Wove Me In Teheran"), fino a infrangersi in echi cosmici e glitchy.
Quando arriva anche la voce, in "Would You Remember Me", siamo fra le spoglie ecotplasmatiche di un ricordo lontanissimo, l'ombra della desolazione che pure affiorava nelle cartoline urbane di Burial. Sgranata ambient dell'inquietudine degna di Roly Porter e Rafael Anton Irisarri in "Elegy For Water" e "Ladan Dead End". Curvatura verso il basso nella parte finale della scaletta, che cincischia con il minimalismo in "Fever" e poco aggiunge a quanto già detto con "Fluid", ma è un peccato veniale.
Passato, presente e futuro si incontrano e dialogano: il primo e il terzo sono fantasticati dalla mente, il secondo è percepito, descritto. Al crocevia del tempo una musica periferica per noi come quella iraniana riesce a descrivere un curioso momento storico e culturale, dove la freccia del tempo sembra aver perduto ogni direzione. Saba Alizadeh, allora, vaga nella storia passata, presente e futura, diviso fra sogno e incubo, fra elevazione e desolazione, facendosi interprete struggente, tramite il virtuosismo strumentale e compositivo, di uno smarrimento, questo sì, molto vicino anche alla realtà occidentale.
(23/03/2019)