Entrare nell'universo sonoro dei Bohren & Der Club Of Gore è perdersi nei meandri di un'alienazione che non pare conoscere esito, sondare il perturbante nella sua interezza, al passo flemmatico e grigio di sensuali flussi jazz, confezionato su misura per eleganti commenti cinematici. È un universo dalla profonda, quasi annichilente, coerenza estetica e concettuale, al punto che anche le piccole variazioni messe di volta in volta in atto quasi si perdono nel complesso di un corpus artistico di impressionante compattezza. Non fa eccezione "Patchouli Blue", disco che interrompe uno iato discografico durato ben sei anni, ma che restituisce l'immagine di una band solida nei suoi intenti, per la quale il tempo, o anche la stessa composizione del suo organico, sembrano essere concetti relativi.
Per quanto privi del contributo del batterista e co-fondatore Thorsten Benning (che ha abbandonato la band nel 2015), i tre rimasti non hanno perso una cifra del loro fumoso impatto atmosferico, sopperendo alla sezione ritmica con classe sopraffina e irrobustendo, ancor più di quanto fosse preventivabile, il tono evocativo delle composizioni. La solita ricetta made in B&DCOG? Certamente, ma l'impatto è ben più schiacciante del solito.
Azzerato quasi del tutto ogni senso di scansione ritmica (giusto occasionali interventi di synth a marcare il passo), l'album scorre glaciale, funesto, soggiogando la tensione in una rete di minacciosi velluti sintetici e flessuosi commenti di sassofono, aperto a un melodismo che quasi giustifica la suddivisione in undici brani. A tal riguardo, la mescola sonora torna a fare i conti con l'annientamento senza redenzione di "Black Earth", ne accentua però i toni patetici traducendoli in un'algida sensualità, che il sax tenore di Christoph Clöser condiziona con morboso compiacimento.
Non che non manchino episodi che avrebbero potuto rispecchiarsi nella quiete estrema di un "Piano Nights", ma il tono generale accentua la sensazione di nervosismo che anche in ballate più "classicamente" jazz come "Sollen es doch alle wissen" non si estingue mai del tutto. Tra gli umori valzerati di "Verwirrung am Strand", la dimensione destabilizzante della title track, in cui il taglio noir si accentua col suo tremulo chitarrismo, gli accenni psichedelici di "Zwei Herzen aus Gold" (notevoli i suggestivi richiami di Rhodes), l'arte del terzetto ritrova la scintilla di un'intensità che stava rischiando di perdere spinta.
Artefici di un universo di rara consistenza evocativa, i Bohren & Der Club Of Gore continuano a firmare le impossibili colonne sonore di un mondo sull'orlo dello sfacelo, ammantandolo di una disturbante voluttuosità. A venticinque e rotti anni dall'esordio, la compagine tedesca non manca di comprovare il suo grandioso, angosciante estro noir.
28/03/2020