Operazione spesso fallace e destinata a un fugace ascolto, l’album di cover dei due artisti è baciato da intensità e naturalezza espressiva, al punto che diventa facile dimenticarsi di aver già ascoltato queste dieci canzoni dalla voce di Bob Dylan, John Prine o Johnny Cash.
Gran parte delle versioni sono frutto di una sola registrazione, realizzate con un registratore a bobina (in un brano c’è un breve vuoto generato dalla fine del nastro) e l’utilizzo di un unico microfono: Gillian e David hanno lasciato intatte anche piccole imperfezioni e negligenze per non alterarne la spontaneità.
Per due musicisti che nelle loro esibizioni live si sono cimentati anche con i Radiohead e i Jefferson Airplane, interpretare Bob Dylan è un gioco da ragazzi, ma la magia che estraggono da “Senor” (inclusa in "Street Legal") e da “Abandoned Love”, quest’ultima una canzone scritta da Bob nel 1975, spesso eseguita dal vivo e pubblicata dieci anni dopo in “Biograph”, è superiore alle attese, graziate da una linearità interpretativa e da un’essenzialità strumentale che onorano la poetica originale.
Spicca altresì il vibrante e brioso duetto vocale che contraddistingue la versione di un brano portato al successo da Johnny Cash, “Jackson”.
Con disinvoltura e insolita vitalità i due musicisti affondano le mani nella radicata tradizione country, conciliando ricordi festosi (“Fly Around My Pretty Little Miss”) e lievi malinconie (“Poor Ellen Smith”) senza che ci sia una nota o un esternazione vocale che non sia contestuale o doverosa (“Oh Babe It Ain't No Lie”).
Spetta comunque a “Ginseng Sullivan” di Norman Blake ( il musicista americano non quello scozzese leader dei Teenage Funclub) la palma di gemma svelata di “All The Good TImes”, e chissà se la splendida versione di Welch e Rawlings non aiuti il pubblico a scoprire un talento noto ancora a pochi, il cui spirito è affine all’atmosfera più finemente bluegrass del disco.
Non stupisce, altresì, che la vera perla di questo progetto, nato durante la pandemia causata dal Covid-19, sia un brano, “Hello In There”, estratto dal primo album di John Prine musicista scomparso recentemente per le complicanze causate dal coronavirus: l’interpretazione di Welch ne cattura la devastante bellezza malinconica del brano, lasciando scivolare anche una lacrima a mo’ di rugiada, suggellando con classe e autentica passione un progetto nato senza molte pretese e inaspettatamente affascinante, al quale si spera che i due musicisti vogliano dare presto un seguito con un album di brani originali.
Restiamo in ascolto.
(10/09/2020)