Houston, abbiamo un problema! Laura Lee, Mark Speer e Donald Ray "DJ" Johnson Jr, ovvero i Khruangbin, non sono in verità un problema: al contrario, il trio texano è l’inattesa sorpresa che renderà questa strana estate molto più vivace e intelligentemente spensierata. Il soul, funk, surf, psichedelico, etnico della macchina volante (Khruangbin in tailandese), dopo la breve parentesi in collaborazione con
Leon Bridges per l’Ep “Texas Sun”, riparte alla grande con un progetto, “Mordechai”, che ne condensa tutte le peculiarità nonché l’estrosa e impaziente natura multiculturale.
Dietro l’effervescente tessitura strumentale dei Khruangbin c’è una costante e scrupolosa attenzione alla world music. Le propensioni alla musica surf non sono infatti radicate solo nella cultura californiana ma anche in quella asiatica, mentre le costanti movenze funk trovano linfa nella tradizione funk-pop persiana. Anche le
nuance latine sono policrome e attraversano Spagna e Brasile, mentre le influenze reggae sono sì d’origine giamaicana, ma filtrate dalla sensualità del dub.
Per “Mordechai” il trio ha ampliato ancor di più lo spettro stilistico e culturale, gettando un occhio e l’orecchio alla musica pakistana, coreana, africana, indiana, turca e congolese, omaggiando così la natura multietnica della loro terra, Houston, fucina creativa di interazioni musicali antiche (zydeco) e moderne (trap, rap).
Il diario di viaggio dei Khruangbin questa volta ha pagine non solo d’accordi e scale armoniche, ma anche di linguaggi e parole, essendo senza dubbio il disco con più storie e racconti della band, nota in passato più per le lunghe elaborazioni strumentali che per il cantato. Sul versante puramente musicale l’energia che scaturisce dall’interazione tra basso, chitarra e batteria non è mai stata così vivida, grazie all’incisione live in studio delle parti strumentali, spesso frutto d’improvvisazione. Una scelta tecnica che ha permesso al trio di catturare su disco parte di quell’energia che caratterizza i concerti.
Non è un caso che l’album si apra con un brano intitolato “First Class”: l’elegante soul psichedelico è il giusto approccio per un disco dalle molteplici vibrazioni, un vero e proprio viaggio musicale in prima classe.
Aveva intuito le potenzialità della band il musicista e produttore
Bonobo, quando nella scelta degli artisti da inserire nel suo “Late Night Tales” inserì una delle loro prime incisioni, tuttavia mai avremmo immaginato un album mordace e sensuale come “Mordechai”. Il raffinato reggae-dub in
slow-motion di “One To Remember” e l’eccitante disco-boogie di “Time (You And I)” sono solo due degli estremi che i Khruangbin sfiorano con eleganza e classe. L’etno-jazz di
Mulatu Astatke è invece alla base del delizioso
meltin’ pot di “Connaissais De Face”, che non disdegna influssi surf-rock ed esotismi alla
Gainsbourg; questi ultimi elementi sono assimilati e inglobati nel fluido e armonico incedere chitarristico dell’introversa jazz-fusion di “Father Bird, Mother Bird”.
I texani sono riusciti a mettere a punto una sintesi che ha familiarità sia con le moderne intuizioni di
Kiwanuka (“If There Is No Question”), sia con le visionarie e vellutate atmosfere di
Connan Mockasin (“Dearest Alfred”), con un linguaggio creativo che ricorda le prime pubblicazioni della Luaka Bop ma anche le prime contaminazioni tra country e soul (“So We Won’t Forget”). E che dire dell’apparente semplicità di “Pelota” che oltre alle evidenti trame latin-rock e ai tempi sensuali della cumbia, mette in mostra tracce di rock iraniano e flamenco.
“Mordechai” è un album solare, dinamico, un ricco contenitore di moderni
groove dal fascino lieve; è una musica che come brezza accarezza la mente e il corpo nelle assolate giornate estive, un perfetto diario di viaggio che vi permetterà di attraversare l’intero globo terreste stando comodamente sulla vostra sedia a sdraio. Buon viaggio, anche nel caso non abbiate prenotato.