Si può essere padroni o vittime delle proprie fantasie, chiunque ha sperimentato il piacevole gioco delle illusioni e dell’irrazionalità, sa di essere attratto dal gusto evanescente e surreale dei sogni, sia che li domini o che ne sia dominato.
Spesso nel piacevole gioco dell’inganno dei sensi ci si spinge oltre i confini del reale, dando origine a un alter ego spirituale e mentale al quale affidare il compito di dialogare con l’incommensurabile.
Non credo che Connan Hosford quando creò dal nulla, con la complicità dei due fratelli e dell’amico Blake Pryor, i personaggi di Dobsyn e Bostyn, fosse consapevole della possibilità che potessero assurgere a entità fisiche autonome, al punto da diventare protagonisti di un film.
Vent’anni sono passati dalle prime avventure del professore Bostyn e del suo alunno Dobsyn, a volte incoscientemente catapultati in alcune canzoni di Connan Hosford (“It’s Choade My Dear”), ora Mockasin - dopo aver realizzato tra il 2004 e il 2006 tre Ep sotto il nome di Connan & The Mockasin - torna al suo nome ufficiale; nel frattempo l’illusionista che diede vita alle loro avventure è diventato un uomo, ma non un uomo qualsiasi. Spiritello surreale, nello stesso tempo introverso come Syd Barrett e freak come Daevid Allen, Mockasin ama l’imprevedibilità, il situazionismo: ogni sua opera, ogni sua esternazione artistica è frutto di un mix di casualità e consapevolezza.
“Please Turn Me Into The Snat”, poi ribattezzato “Forever Dolphin Love”, catturava un periodo d’intensa attività live, speso a sperimentare tutte le possibili interazioni tra un basilare folk-blues psichedelico e le speculazioni filosofiche del rock’n’roll. Nuovi personaggi importunavano le fantasie del musicista, figure arcaiche, esseri mutaforma che Mockasin ha infine catapultato nel geniale video di oltre dieci minuti di “Forever Dolphin Love”, dove l’oggetto amato è una donna delfino. Sempre il blues e un recondito amore per il soul e il funky hanno fatto da sfondo al fluido tocco sensuale-sessuale del successivo “Caramel”, album registrato in una stanza d’albergo giapponese che ha canonizzato lo stile ormai inconfondibile del musicista: voce in falsetto, chitarra accordata con un tono più basso che assomiglia non poco a certe sonorità asiatiche, merito o colpa della compagna Hiromi Oshima che lo ha introdotto alle meraviglie della musica giapponese.
L’imprevisto progetto a quattro mani con Sam Dust dei Late Of The Pier a nome “Soft Hair”, ha poi consolidato un periodo d’intensi scambi culturali con altri musicisti, affrontati da Connan con uno spirito avventuroso e non necessariamente da protagonista: tra gli altri Unknown Mortal Orchestra, Neil e Liam Finn, James Blake, Mgmt, Mick Fleetwood e Lawrence Arabia. Ed è durante questo lungo periodo di silenzio discografico a proprio nome, che Mockasin ha scritto e prodotto un album con Charlotte Gainsbourg che è stato rifiutato e rimaneggiato dalla casa discografica dell’artista francese, snaturandone l’essenza.
Nel frattempo, intorno alla figura del musicista si è creata una band stabile, che ha aperto così le porte al sogno di realizzare un album live in studio che catturasse tutta quell’energia istintiva, solitamente stemperata nel lavoro di post-produzione.
“Jassbusters” è un disco che nasce da tutti questi presupposti, un lavoro che per l’artista rappresenta un primo vero bilancio artistico, ed è questo che lo ha spinto a scegliere per le registrazioni una strumentazione basilare, essenziale, che suonasse omogenea in virtù della naturale forza simbiotica.
La semplificazione sonora e la rinuncia alle manipolazioni della voce e a quegli strani effetti musicali mettono sì a nudo l’arte di Connan, ma nello stesso tempo non ne alterano il misterioso e impressionante fascino.
La voce resta altresì elemento fondamentale della musica, rendendo per la prima volta palpabile l’emozione e anche la fragilità del soft-blues psichedelico che anima i trentacinque minuti dell’album: un mix di inquietudine e romanticismo che suona eclettico pur nella omogeneità delle atmosfere.
L’episodio più atipico è “Momo”, un jazz-blues tenebroso che sembra uscire da un disco di Jimmy Scott o da un outtake di “Ok Computer” dei Radiohead, reso ancor più enigmatico dalla voce di James Blake; mentre “B'nD” si differenzia dal resto dell’album per il ritmo leggermente funky e un breve recitato.
“Jassbusters” rischia però di deludere chi si aspettava da Connan Mockasin un disco leggermente più irriverente. Le canzoni, infatti, si snodano su un groove morbido abbastanza prevedibile, eppure la scrittura e la raffinata architettura minimale degli arrangiamenti rendono ogni brano un piccolo gioiellino di creatività, intelligenza e buon gusto.
I nove minuti di “Charlotte's Thong” con quell’incedere alla Marvin Gaye meets George Harrison potrebbero proseguire all’infinito senza mai perdere intensità; il cantato sgraziato e fuori tono di “Last Night” scava nel profondo con un ardore che rimanda a Nina Simone e Billie Holiday; mentre l’esortazione di “You Can Do Anything“ trancia nettamente in due l’album, esasperando l’anima jazz-blues del progetto.
La Stratocaster è invece la vera protagonista delle sensuali e vellutate “Con Conn Was Impatient” e “Sexy Man”, che strizzano l’occhio anche a certo pop anni 80 (i Prefab Sprout per la prima, i Blue Nile per la successiva), assecondando altresì la logica della semplificazione lirica e armonica necessaria a mettere a fuoco il ruolo dei due personaggi del film di cui l’album è per certi versi la colonna sonora, una storia che le ultime note della conclusiva “Les Be Honest” lasciano volutamente in sospeso, creando il necessario pathos per il seguito di questa strana avventura di Bostyn e Dobsyn.
06/10/2018