Difficile non avere la musica nel tuo codice genetico, se l'acronimo dei tuoi tre nomi di battesimo forma la parola "rap", come per Rory Allen Philip Ferreira. Classe '92, nato a Chicago ma attualmente domiciliato nel Maine, potrebbe sembrare nuovo sulla scena ma in realtà c'è solo stato un cambio di moniker: è lui l'uomo dietro a Milo, un progetto che ha portato alla luce un talento per l'hip-hop astratto e disorientante, culminando nella coppia "So The Flies Don't Come" (2015) e "Who Told You To Think??!!?!?!?!" (2017), consigliata assolutamente a chi mastica hip-hop contemporaneo. Nel 2018 il vecchio nome viene abbandonato, lui apre un negozio di dischi e si teme che possa essere scomparso dalla scena. Per fortuna, "Purple Moonlight Pages" dimostra che non è successo e che Ferreira è più in forma che mai, come già aveva fatto intuire il mixtape "The Truly Ancient And Original Lefthanded Styles Of The Hoodwinkers And Penny Pinchers" (2019).
La produzione è affidata al trio Jefferson Park Boys, ovvero Kenny Segal, Mike Parvizi e Mr. Carmack, mentre al microfono troviamo, oltre ovviamente a Ferreira, le ospitate di Open Mike Eagle e Mike Lead. Questo team forza la musica nella direzione che era già stata indicata da Milo, verso un jazz-rap che volentieri si presta allo psichedelico e all'astratto, lontana evoluzione di quello dei pionieri A Tribe Called Quest.
"Decorum" apre con un bagno di jazz allucinato, con "Greens" aggiunge un sinuoso beat al flusso di coscienza, lasciando libertà anche all'arrangiamento: splendide e profonde linee di basso e rintocchi di organo, voci pesantemente riverberate, un generale gusto per il notturno e il fumoso. Con "Noncipher" si aumenta l'energia, con Ferreira che duella con gli ottoni, prima di tuffarsi nei droni di "Omens & Totems", inizialmente senza beat e quindi incastrata su un rotolante ritmo sbilenco che diventa la tela per una metrica flessuosa.
"U.D.I.G." rischiara con un funk-jazz-rap con aperture orchestrali, ideale precedente del destrutturato, ironico e fantasticamente cool rap di "Laundry". "Dust Up" è una frenetica riflessione in una nuvola ambient, vicina a Kate Tempest, che apre alla meditazione esistenziale di "Cycles". Una breve cellula melodica è il punto di riferimento della giostra jazz-rap di "Absolutes", mentre l'inno alt-rap "No Starving Artists" sceglie un più immediato e sensuale funk, continuato in una veste più soul in "Leaving Hell", sensazionale dimostrazione di padronanza ritmica di Ferreira. Abbandonati alla rilassante psichedelia hip-hop di "Doldrums" e all'onirica "An Idea Is A Work Of Art", una commovente magia dei trio produttivo, troviamo conferme dell'idillio fra i Jefferson Park Boys anche nell'ultimo terzo della generosa scaletta, compreso il jazz cameristico di "Ro Talk" e gli spunti free della bucolica "Masterplan".
Spesso sperimentale ma non ostico, è la nemesi dell'omologazione trap-pop che affolla le classifiche di mezzo mondo, a partire dal ritmo, scomposto e sparso, fino agli arrangiamenti, tentacolari e sbilenchi. Il fatto che dominino suoni caldi, più vicini all'atipico hip-hop suonato dei The Roots che al robotico-tecnologico di Future, unito a una certa propensione a citare il trapassato funk e jazz, non fa che rendere più lontano dal mainstream il risultato finale. Come i più talentuosi esponenti dell'hip-hop alternativo, Ferreira può rimare su ogni argomento, così da dedicare una canzone al bucato, "Laundry", e trarne una parabola sulla genitorialità e sulla vita di un rapper lontano dal mainstream. La nuova incarnazione del fu Milo risulta anche più personale, perché l'uso del proprio nome di battesimo serve a segnalare una volontà di esporsi in prima persona, raccontando le proprie idee e la propria realtà senza intermediazione.
Una prova matura, dunque, per Ferreira, che questa volta può appetire anche chi avrebbe trovato il primo Milo fin troppo caotico e imprevedibile. D'ora in poi, comunque, fare il bucato non sarà più la stessa cosa.
18/03/2020