Forse non era neanche intenzionale, ma parlando del suo nuovo album di studio Beth Orton ha offerto un'immagine quietamente potente: eccola appartata nel fienile in fondo al giardino durante i lunghi mesi della pandemia, intenta a ritagliarsi momenti di silenzio per mettere ordine alla propria indolenza creativa e affrontare le responsabilità casalinghe, in quanto madre di due figli ormai entrambi quasi adolescenti. Una voce solitaria, un vecchio pianoforte a muro, un mixer e qualche collaboratore fidato: l'avrete già letto altrove forse, ma "Weather Alive" è uno dei quieti trionfi cantautorali dell'anno, per lo meno per chiunque sia in vena di passare tre quarti d'ora di assoluta intimità dell'anima.
Sono certo lontani i tempi di "Trailer Park" e "Central Reservation" quando, con William Orbit a fianco, questa inedita chanteuse folktronica andava a bere la sera con Madonna e le All Saints. Un mondo lontano anni luce, tanto dalle sue radici nel Norfolk quanto dal suo attuale presente; nel mezzo, una vita che lei stessa ha spesso definita "incasinata", per via di relazioni affettive andate in malora e lo svolgimento di un mestiere pericolosamente altalenante. Ma Beth è sopravvissuta, e oggi si osserva con un misto di disincanto e malinconia, avvolta tra eccitanti vecchi ricordi e dolori ancora vivi ma finalmente scampati al peggio.
Saranno state le gravidanze o il naturale passaggio del tempo, ma la sua voce tremola come un lumino al vento d'inverno. Rauca, pastosa, spesso appena accennata: più che cantare, a momenti sembra dipingere una serie di acquarelli dal grigio fumo al ceruleo scuro, con striature di verde smeraldo e bianco di nuvola irrorata da un estemporaneo accenno di sole.
Dipanata lungo sette minuti abbondanti, la traccia che dà il titolo all'intero lavoro apre l'ascolto come una ripresa subaquea, creando tremolanti giochi di luci e ombre col meteo, come tanto piace agli inglesi. Ma come sempre nei lavori della Orton, dietro la semplicità di certe trovate si cela un filo di poesia. Se prestate attenzione alla sola linea melodica di "Friday Night", potrebbe venirvi in mente un malinconico Paul Buchanan, o magari addirittura il ruspante Springsteen anni 80 che declamava le proprie emozioni a cuore aperto e ritmo di grancassa. Ma ogni sentimento heartland qui viene dilatato all'inverosimile, l'arrangiamento cola lacrime di piano e chitarra, la voce trema sotto il peso della nostalgia, riuscendo a malapena ad accennare la parte più emotiva del testo:
Mi ero dimenticata di avere le ossa
Mi ero dimenticata di poter sentire
Mi ero dimenticata che ci saremmo svegliati
E sarebbe stato tutto vero
Più che un'ode al venerdì sera, questo è il dolceamaro ricordo di una vita fa, di cose e di persone che non ci sono più.
Ma il proverbio dice che l'albero dal tronco più elastico non si spezza alla tempesta; è così che l'autrice riesce a intonare una spettrale "Forever Young", offrire dolenti note prossime alla collega Beth Gibbons su "Lonely", o affrontare il naufragio ambient del lungo finale "Unwritten". E poi c'è "Arms Around A Memory", esplicativa sin dal titolo e presto corroborata dallo stesso arrangiamento: batteria campestre, linee di chitarra bagnata di rugiada, cori che si dilaniano in sottofondo col fare di un vecchio circo abbandonato.
Pur nella sua cauta maturità espressiva, "Weather Alive" non è comunque un ascolto monocorde; il lieve funk decostruito di "Fractals" porta un brio frizzantino, il curioso sax offerto dal jazzista Alabaster DePlume gioca assieme alla voce, creando riflessi di luce sulle increspature dell'accqua. Più aliena che non strettamente depressa, "Haunted Satellite" in un certo senso conclude la gamma sonora offrendo un melodismo obliquo, ancora una volta adornato da quel sax che ha del misterioso.
Ed è quanto basta per poter annoverare Beth Orton tra le cantautrici ormai "storiche" d'Inghilterra - titolo che molto probabilmente lei stessa troverebbe scomodo e che pure, con un disco come "Weather Alive", è impossibile non affibbiarle.
04/10/2022