Francesco Guccini

Canzoni da intorto

2022 (BMG) | progressive folk

Lo ammetto: non me lo aspettavo. Né un album nuovo di Francesco Guccini, né soprattutto un album bello. Di più: diverso da tutti gli altri usciti prima.
Un artista, non certo noto per la tendenza a stravolgere la sua formula, che a ottanta e passa anni scombussola tutto e si lancia in territori inesplorati? Beh, non esageriamo. "Canzoni da intorto", uscito solo in formato fisico il 18 novembre 2022, è un disco sì sorprendente, ma anche confortevolmente gucciniano. Chiude il "conto in sospeso" che da sempre lega l'autore alla musica popolare, e nel farlo sperimenta alcune soluzioni nuove. Ma, frutto di una vita da Francesco Guccini, la scelta dei brani e l'interpretazione ne fanno emergere la personalità quanto e più di un ordinario suo disco. Parole e musiche non sono sue, ma ascoltando è piuttosto palese: è come se lo fossero.

 

Il ricco booklet chiarisce: l'idea di un disco di cover risale ad anni fa, e la scelta dei brani riflette le tappe fondamentali dell'esperienza musicale di Guccini. Alcuni pezzi richiamano gli anni universitari, altri alla frequentazione del "Folk-studio" bolognese che, traendo il nome dall'omonimo locale romano che promosse Venditti e De Gregori, fece da aggregatore per i giovani interessati alla canzone partigiana e politica. Il repertorio dei Cantacronache ("Morti di Reggio Emilia", "Tera e aqua"), quello dei canti anarchici ("Nel fosco fin del secolo", "Addio a Lugano") e delle canzoni dialettali ("El me gatt", "Barun Litrun", "Ma mi", "Sei minuti all'alba") sono i più rappresentati nella selezione, e tributano la forte relazione dell'artista con le rispettive tradizioni.
Ma "Canzoni da intorto" non è un cover album compilativo, né una rassegna greve come i temi trattati potrebbero suggerire. È anzi prima di tutto un disco divertito, frutto di un rinnovato entusiasmo che riporta ai fasti ironici di "Opera buffa" (1973). La voce è stanca, le parole talvolta si raggomitolano, ma Guccini ha ritrovato - anche se soltanto per la durata di questa incisione - la voglia di spassarsela facendo musica. Merito, forse, anche del collaboratore chiave del progetto, il produttore e arrangiatore Fabio Ilacqua, che ha coordinato la fitta schiera di musicisti a supporto dei brani e costruito orchestrazioni caleidoscopiche e inventive, con un avventuroso stile acustico da qualche parte fra Capossela e Stormy Six (la sensazione è che, abituato a lavorare con Anna Tatangelo, Marco Mengoni, Francesco Gabbani, con "Canzoni da intorto" debba essersi divertito un mucchio anche lui).

Così, in una carambola di dundun e zumpappà, brani come la severa "Morti di Reggio Emilia" scoprono un brio inaspettato, e la strehleriana "Ma Mi" trova nuovo slancio grazie agli echi centroamericani e alla comparsata di Davide Van De Sfroos. Si coglie il gusto irriverente nel ripetere i versi di Ivan Della Mea sul pestaggio di una vecchia zoppa, rea d'aver (forse) mangiato il gatto del narratore ("E su la gamba giusta giò legnàa/ Ho sentù on crach de ossa rott/ L'è 'ndada in terra come on fagott") ed è tangibile in "Nel fosco fin del secolo" l'emozione dietro a "Rimbomba col suo fianco redentore/La dinamite!" in "Nel fosco fin del secolo", palese riferimento della "stessa forza della dinamite" che compare nel classico "La locomotiva".
Il traditional piemontese "Barun litrun" e la quasi-conclusiva "Sei minuti all'alba", firmata Enzo Jannacci, sono due episodi fra i più riusciti del disco. La prima, con uno sviluppo progressive folk che passa dal soave al marziale al radioso, splende della ghironda che già impreziosiva alcuni brani di "L'ultima Thule". L'ultima combina invece con successo dialetto milanese e movenza habanera per mettere in scena gli ultimi momenti di un condannato a morte, giungendo a un finale interrotto che con sottigliezza richiama l'epilogo della vicenda.
Dove Guccini si cimenta con lingue più lontane dal Nord Italia (accade con "Green Sleeves" e con l'ucraina "Sluga naroda", che compare a mo' di ghost track) l'effetto è meno convincente, ma entrambe le tracce svolgono il loro ruolo di nodi nella rete che connette allo stesso livello vissuto personale, ascolti dell'artista, attualità sociale e lotte d'altri tempi.

Ambizioso e accogliente, leggero ma politico in ogni suo dettaglio, "Canzoni da intorto" nasce forse come disco "per fan" ma può senz'altro conquistare anche ascoltatori nuovi. Sposando tradizione popolare e canzone intellettuale (fra gli autori dei testi, oltre al già citato Strehler, Sergio Liberovici, Fausto Amodei e il poeta Franco Fortini), senza mai prendersi troppo sul serio, propone una sorta di "storia alternativa" della canzone italiana - o quantomeno del suo personale percorso di autore. Nel farlo, riscopre una vena folk rigogliosa, capace di combinare lirismo e goliardia come solo a pochi era riuscito in precedenza. Non trovando altre parole adatte a chiudere, viene spontaneo ricorrere alla più semplice: grazie.

 

(30/01/2023)

  • Tracklist
  1. Morti di Reggio Emilia
  2. El me gatt
  3. Barun Litrun
  4. Ma mi
  5. Tera e aqua
  6. Le nostre domande
  7. Nel fosco fin del secolo
  8. Green Sleeves
  9. Quella cosa in Lombardia
  10. Addio a Lugano
  11. Sei minuti all'alba
  12. Ghost track
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