Roc Jou Morales è un classe 2003 che nonostante la giovanissima età ha già un lustro di pubblicazioni alle spalle, tra singoli, Ep e album autodistribuiti direttamente in Rete. Certamente ha potuto inizialmente accedere a canali di diffusione consoni alle sue ambizioni grazie alla provenienza familiare (madre e padre sono entrambi personaggi legati al mondo dello spettacolo di Barcellona), ma la propulsione a diventare musicista di professione è sempre stata forte. Appena adolescente ha infatti avuto la capacità di costruirsi un seguito su YouTube commentando musica sul canale Roctopus (da lui stesso successivamente cancellato).
Quattordicenne, ha iniziato a pubblicare materiale originale, abbandonando la scuola pur di dedicarsi a tempo pieno alla musica e rilasciando materiale a ritmo febbrile (ad oggi, ha già pubblicato sette album e tre Ep). La prima fase della sua carriera è all’insegna di un emo trap molto debitore di artisti americani quali XXXTentacion o Lil Peep; la proposta era inevitabilmente molto acerba, ma dimostrava già una certa attenzione alle novità (nel 2017 il genere stava giusto uscendo dalla dimensione di culto underground). Con la maturazione dell’autore è cresciuto anche il bagaglio di influenze, arricchitosi tra il 2019 e il 2021 di sfumature ipnagogiche, techno, indie-pop, che gli hanno fruttato un seguito sempre crescente, culminato in piccole hit dell’underground spagnolo come “Umi” (13 milioni di riproduzioni su Spotify). Anche l’estetica della proposta si è spostata notevolmente dai toni urban piuttosto stereotipati degli esordi a un immaginario ora etereo, ora rappreso in uno spleen esistenziale fortemente debitore dell’animazione giapponese più introspettiva.
Tutti i tasselli della crescita di Rojuu sono confluiti in “Kor Kor Lake”, primo album distribuito anche fisicamente avvalendosi di un’etichetta indipendente. La crescita delle ambizioni è evidenziata dalla scelta di Harto Rodriguez, coautore e chitarrista in "Tú me dejaste de querer" di C. Tangana, nonché tecnico del suono nella stessa e in altri tre brani de "El Madrileño" ("Cambia!", "Los tontos" e "Hong Kong”), come principale produttore del progetto. Non viene tuttavia troncata la collaborazione con lo storico producer di fiducia, il venezuelano Carzé.
Ad anticipare l’album è stata la traccia d’apertura “Nezuko”, pubblicata come singolo nel dicembre 2021: intrecci di chitarre elettriche arpeggiate e una voce giapponese campionata (la Asuka di "Neon Genesis Evangelion") sono il tappeto etereo per una sorta di inno indie-rock da cameretta, urgente ma trattenuto, maggiore e malinconico allo stesso tempo. L’utilizzo della voce è anch’esso notevolmente maturato negli anni: abbandonati i tentativi di emulazione di un classico trapper del ghetto, nel tempo Rojuu ha preferito concentrarsi su un canto sussurrato, una risposta emo allo stile di C. Tangana. La somiglianza vocale è particolarmente forte in “Cuanto Tiempo Nos Queda”: tra le canzoni più riuscite dell’intero album, è una ballata che unisce chitarre così dense di rock indipendente anni 90 che viene da chiedersi come le abbia potute riproporre con tale dedizione un ragazzo della generazione Z, delicati ma pervasivi arrangiamenti di tastiera e vocalizzi dai toni dream. La struttura stessa della canzone è estremamente fluida, caratterizzata da cellule melodiche che si ripetono alternativamente, declamando versi pregni di disagio adolescenziale (“È una stupidaggine/ Non ho più energie/ quanto tempo ci è rimasto/ prima che sia giorno?”; “Fammi un favore e uccidilo”).
“Fantasía Placebo” riprende il discorso dei connazionali Cupido, ma riesce a calare ancora meglio l’indie nei territori urban fatti di reiterazione melodica ossessiva e manipolazioni vocali, dimostrando una varietà d’arrangiamento notevole, in particolare nel dispiegamento di una moltitudine di sintetizzatori (con differente scelte di mixing, alcuni suoni potrebbero tranquillamente finire in un disco industrial). Simili traiettorie prende “Nada Me le Levanta”, che tuttavia alla stratificazione di “Fantasía Placebo” risponde con una pulizia sonora volta all’essenzialità. Per la maggior parte del brano la base è composta da batteria elettronica 808 che utilizza solo cassa, rullante e un debole accompagnamento di hi-hat, basso che doppia la cassa a colpi di toniche, tastiera chillwave dal suono a corto rilascio, e una chitarra elettrica pulita in palm muting. Lungi dall’essere una canzone grezza o poco rifinita, grazie all’arrangiamento spartano evidenzia la bontà delle linee melodiche, immediatamente cantabili ma non stucchevoli.
La prima sezione di album comprende anche “Un Paseo Más”, singolo dalle coordinate sonore simili alle canzoni precedentemente descritte, ma caratterizzato da un ulteriore grado di raffinatezza di scrittura: l’utilizzo del Re# minore dopo il Do# min nel ritornello, seppur in sé non un espediente così fuori dall’ordinario in un contesto armonico di Mi maggiore, fornisce in realtà un’atmosfera di sospensione armonica non indifferente, in contrasto alla dolcezza dell’arrangiamento.
Queste cinque canzoni sarebbero da sole più che sufficienti a creare un’estetica molto netta, ma il resto dell’album non si accontenta di ripetere quanto già detto, anzi: apre così tante nuove porte da risultare spiazzante, almeno a un primo ascolto integrale. Del resto, il clima di ambiguità e sperimentazione da trip è ben raffigurato nella copertina di Filip Custic, già autore del celebre ritratto di Rosalía ne “El mal querer”. Non che l’esperienza della droga venga glorificata: “Rehab Boys 2020” dipinge un escapismo acido più somigliante a un delirio abissale che a un sereno viaggio oltre le porte della propria percezione (“Esci dalla zona, sei un incidente/ Guarda alle tue spalle, arrivano le ninfe e gli elfi/ Non stringere la mano, rimani mutilato/ Non guardarmi, mi sto facendo a pezzi”). Musicalmente, il caracollante incedere della batteria elettronica viene abbellito da espedienti di produzione a dir poco ingegnosi (il suono di una goccia che diventa elemento ritmico), mentre una chitarra molto satura squarcia il ritornello.
Nella seconda metà di “Kor Kor Lake” ci si può imbattere in numeri di dance atmosferica che sfociano in code vaporwave (“Cold Amsterdam (pt.3)”), cloud rap plumbeo (“Adultos Down Bad”, “Invasores”), all’insegna di un eclettismo che non vuole conoscere freni, e infatti deflagra nel terzetto finale.
“Nana” (altro evidente omaggio all’universo anime) è una litania digicore d’avanguardia, che troverà forse pochi fan al di sotto dei venticinque anni d’età, ma che evidenzia in realtà una vena riflessiva e una delicatezza d’arrangiamento ben superiori alla media del genere.
“100XRE a tu Lado Stare” alza ulteriormente i bpm, mentre “Post Velada” chiude l’album con una breve ma elettrica scarica drum&bass. In un primo momento acida e techno, viene raggiunta nel finale da accordi di piano digitale soul, quasi a voler suggerire l’inizio di un’ulteriore canzone - magari legata alla house old school anni 90 - che però non inizierà mai.
Perfetto emblema di una realtà musicale e discografica invariabilmente mutata rispetto al secolo scorso, slegata com’è dai concetti di “gavetta” e dal culto del locale indipendente come tempio della determinata scena a esso associato, Rojuu è riuscito a produrre a soli diciannove anni un album che ridefinisce i contorni dell’universo indie-rock contaminato di urban. Non è dato sapere se i risultati commerciali riusciranno a supportare il progetto nel lungo periodo; “Kor Kor Lake” ha comunque ottenuto un incoraggiante ventiduesimo posto come piazzamento apicale nella classifica spagnola. L’endorsement esplicito di Alaska, una delle cantanti storiche del pop spagnolo, certamente testimonia l’attenzione con cui il giovane viene seguito, anche ad alti livelli.
30/09/2022