You can't fix stupid
Billy Woods sembra inarrestabile negli ultimi anni, attivo in una carriera che lo vede muoversi agilmente tra album solisti e collaborazioni eterogenee. Il ritorno in coppia con Kenny Segal dopo il ricordevole “Hiding Places” non delude, spingendo sugli aspetti più astratti del suo rap, qua supportato da produzioni spesso asimmetriche e disorientanti sulle quali srotolare racconti.
“Kenwood Speakers” procede in un midtempo glaciale e riverberato finché non si scompone fino al rumore e al caotico, mentre “Soft Landing” dondola su una chitarra elettrica sognante e malinconica: molti brani sono un’avventura che costringe a ripensare la propria idea di brano hip-hop, seguendo al contempo il flow tentacolare di Billy Woods e i beat mutanti di Kenny Segal, irregolari anche quando si riavvicinano alla tradizione hardcore in “Soundcheck”; in “As The Crow Flies” l’arrangiamento fluttua in riverberi ed echi, sciogliendosi in una nebbia di visioni jazzate.
Il viaggio intrapreso nell'album, tra vignette tanto diverse, conduce anche a brani più omogenei nel beat, come la dolce allucinazione di “Rapper Weed” o la lentezza irreale di “Hangman”, dove il flow cangiante di Billy Woods può trovare lo spazio per silenzi e arguti giochi di parole. Per il loop jazz-rap di “The Layover” il rapper inventa una filastrocca ipnotica, che potrebbe continuare il doppio dei suoi tre minuti sortendo effetti psichedelici.
In all candor, I got one foot in your grave
Light work by lantern, I still call a shovel a spade
Giant panda, big grass all in my face
Walking with a Panther, Going Back to Cali
Deion Sanders and I'm going back the other way
Alcuni brani sono tanto brevi da funzionare soprattutto nel flusso dell'ascolto integrale ma altri, come l’inquietante “Year Zero” con Danny Brown sono grandiosi anche se presi a sé, una vertigine angosciante con l'ospite che sfoggia il suo tono più irritante in perfetto contrasto con il delivery composto di Billy Woods. Un altro vertice è “Waiting Around”, con la coppia formata insieme ad Aesop Rock che anima un beat tinto di soul come solo due fuoriclasse possono fare.
In generale, questa seconda collaborazione tra Woods e Segal è meno cupa ed eterogenea, più accessibile come nella dolce “Facetime”, ma non per questo meno ambiziosa: nel pessimismo strisciante si intravede qualche spiraglio di leggerezza, una poetica che dalla sofferenza apre verso la consapevolezza e il superamento. Raccontato come un album post-pandemico, “Maps” fotografa una ulteriore evoluzione di Billy Woods che manca di stravolgere il quadro di una carriera invidiabile ma aggiunge un capitolo significativo alla sua discografia e, visto nel confronto con “Hiding Places”, dimostra come il tempo abbia esteso la palette del suo rap, sempre più una narrazione alla quale ogni etichetta stilistica sta stretta.
Da ascoltare, per goderne a pieno, con i testi commentati a portata di mano.
16/12/2023