In un'era ricca di tante annunciate belle speranze ci sono anche delle certezze, e Colin Stetson è una di queste. Un musicista che ha rivoluzionato il ruolo del sassofono basso, ampliandone il respiro, in senso non solo figurato, fino a concepire un'orchestra virtuale racchiusa in un unico strumento. Ogni appuntamento con l'acrobata del sax è cadenzato da avvisi, anticipazioni e commenti, che ne sottolineano la figura artisticamente trasversale e per molti versi unica nel panorama contemporaneo.
Trattandosi del primo vero album di Colin Stetson dopo sei anni di colonne sonore e stravaganze, "When We Were That What Wept For The Sea" si candida come seguito delle migliori pagine dell'artista americano: sedici composizioni per settanta minuti di musica che sono in verità un corpo unico, per un disco che è un omaggio alla figura del padre di Stetson, recentemente scomparso.
Album decisamente poco incline alla sperimentazione, ma non ad alcune sorprese decisamente interessanti, l'ultimo progetto del musicista del Michigan ne mette a frutto la profonda relazione con il mondo delle immagini del cinema e della televisione. "When We Were That What Wept For The Sea" è costruito su una serie di intuizioni armonicamente potenti e suggestive, alcune poste a far da filo conduttore nella lunga trama (i cinque capitoli di "The Lighthouse"), altre tese a sottolineare l'urgenza emotiva che ha dato vita all'opera, nel mentre alcuni cambi di rotta mettono per la prima volta in discussione la sistematicità dell'operato di Stetson.
Quest'apparente distonia con il percorso iniziale del musicista può creare senza dubbio delle lievi perplessità. Anche il flusso decisamente più melodico di alcune tracce rischia di creare incomprensioni nella chiave di lettura dell'album. La verità è che Stetson ha da tempo dismesso il ruolo di musicista jazz sperimentale: le sue ambizioni sono rivolte verso un linguaggio più omnicomprensivo, lo stesso minimalismo che ha retto le glorie del trittico di "New History Warfare" è ormai parte di un progetto più ampio.
Stetson si cimenta da tempo con le infinite variazioni su tema tipiche della musica classica, nello stesso tempo riconverte le influenze jazz ed etniche in un unico modello creativo, chiamando in soccorso anche alcuni protagonisti del folk-ambient sperimentale contemporaneo (Iarla O'Lionard dei Gloaming e Brìghde Chaimbeul). Sembra quasi che il musicista abbia imparato a sognare: la dimensione è più ultraterrena, magica, sospesa. I cinque capitoli di "The Lighthouse" sono perennemente in bilico tra sogno e incubo. L'ariosa forza evocativa di "The Lighthouse I", l'ingresso appassionato e spiazzante delle cornamuse in "The Lighthouse II", lo struggente cantato di Iarla O'Lionard in "The Lighthouse III", lo stridio di sax e respiro vocale di "The Lighthouse IV" e il recitato parlato di "The Lighthouse V" sparigliano il concetto di continuità tematica per un viaggio dove l'unico approdo è dato dalla musica.
Registrato come sempre senza alcuna sovraincisione né alcun uso di loop, "When We Were That What Wept For The Sea" aggiunge molte perle al canzoniere di Stetson: la potente fisicità di "Long Before The Sky Would Open", come il taglio cinematografico dell'incantevole "Passage" e l'inquietante e struggente lirismo di "The Surface And The Light".
Per il resto, il musicista americano dispensa come sempre manufatti creati con una perizia tecnica inimitabile (la title track), melodie circolari dall'estatica bellezza ("Wrathful Seas Quiesce"), impetuose pagine dove i tasti del sax dettano il ritmo ("Fireflies"), in un alternarsi di pause ("Safe With Me") ed esplosioni ("Behind The Sky") che tengono alta la tensione e l'attenzione, nonostante la non agevole durata dell'album: a voler essere pignoli solo i quattro minuti di "One Day In The Sun" sembrano superflui.
"When We Were That What Wept For The Sea" è un riuscito aggiornamento dell'unicità espressiva di Colin Stetson, una musica la cui fisicità è talmente intensa da risultare devastante. Intensi dolori ai legamenti dei polsi e forti gonfiori ai muscoli delle braccia e del viso sono il segno che l'artista porta con sé dopo ogni performance, spesso costretto a periodi di riabilitazione prima di poter tornare a suonare.
In questo profondo legame tra corpo e suono, è racchiusa la smisurata passione del musicista per l'arte, ed è senza dubbio uno degli elementi di suggestione che ne rinnova il fascino ad ogni appuntamento discografico. La musica di Stetson resta un concentrato unico di tecnica e poetica sonora, la vera novità di "When We Were That What Wept For The Sea" è che l'artista non ha più bisogno di alzare la voce per dar brio alla propria musica, basta il respiro.
07/06/2023