Non è la prima volta che David Brewis si cimenta con un progetto collaterale ai Field Music: dopo tre album sotto il nome di School Of Language, il musicista inglese esce allo scoperto con un disco che si discosta dall'elegante art-pop della band per un approccio soft-jazz-blues, che nelle premesse richiama la genesi live in studio di "Astral Weeks", senza però rinunciare a quella densità melodica che ne ha reso peculiare lo stile.
Ai musicisti è stata concessa piena libertà espressiva, poche linee guida e uno spirito da jam session hanno fatto il resto. Ad accompagnare David Brewis in questa avventura sono un quartetto d'archi, una sezione fiati, la voce di Eve Cole, il fratello Peter Brewis (batteria e percussioni) e Sarah Hayes degli Admiral Fallow (flauto e piano).
Ad onor del vero "The Soft Struggles" ricalca la musica di Van Morrison più nella metodologia, evocandone l'incantevole potenza acoustic folk-blues nella vibrante title track e un delicato languore soft-blues nell'elegante valzer di "Start Over".
Altra fonte d'ispirazione dichiarata dall'autore è l'album di Colin Blunstone "One Year": Brewis ne cattura raffinatezza e leggiadria nella suadente e sensuale "Keeping Up With Jessica" e nella romantica torch song che apre l'album "Can We Put It In The Diary?".
"The Soft Struggles" è un'opera solista ma è anche un grosso sforzo corale. Le canzoni tracimano di spunti lirici e armonici, ci sono brani che sembrano frutto di una collaborazione ideale tra i Pentangle e gli Xtc di "Mummer" (la smagliante "Tomorrow") e altri che mettono a fuoco un'intesa tra i musicisti che profuma di primi anni 70 (il jazz-blues tardo psichedelico di "High Time").
La sensazione prevalente è quella di un progetto concepito in piena esuberanza creativa, fuori dagli schemi del gruppo madre, David Brewis cede alla fragile tenerezza del romanticismo lasciando alla voce di Eve Cole la delicata "When You First Meet" e in converso si concede al rigore minimale del jazz nella oscura "It Takes A Long Time".
L'art-pop è una materia complessa da gestire, ma onore al merito per "The Soft Struggles", un album che non solo non cede a inutili eccessi in fase di scrittura e arrangiamenti, ma gode di una fluidità e di una spontaneità che a ogni riascolto sono ancora più palesi.
In quest'ottica di emancipazione artistica, non stupisce che le ultime due tracce stravolgano le poche regole del gioco, prima con una ricca sezione fiati che pulsa più di una sezione ritmica ("The Last Day") e infine con un madrigale dai toni austeri che i fan di Andy Partridge gradiranno fino al deliquio.
Gli estimatori delle alchimie pop-prog e a volte funky dei Field Music, avranno senz'altro qualche difficoltà a entrare in sintonia con un album apparentemente mesto e pastorale, ma la storia insegna che ai puri di cuore e di spirito è concessa la forza necessaria per resistere al giudizio del tempo: prima o poi "The Soft Struggles" vi conquisterà senza riserve.
12/05/2023