Opera imponente e ambiziosa, il nuovo album della Fire! Orchestra segna l'ennesima digressione creativa, un ulteriore percorso per la big band sperimentale guidata da Mats Gustafsson, Johan Berthling e Andreas Werliin.
Ben quarantatré musicisti coinvolti, due ore divise in un formato vinilico triplo o doppio cd, e, ciliegina sulla torta, la presenza di Jim O'Rourke, condottiero di un lungo viaggio avant-jazz ricco di anfratti free e soluzioni cacofoniche di raro pregio.
Seguito dell'album forse più spirituale e seducente della formazione, "Arrival", e imponente ritorno alla composizione, dopo la rivisitazione dell'opera del musicista polacco recentemente scomparso Krzysztof Penderecki con l'album "Actions", il nuovo progetto della Fire! Orchestra, "Echoes", è ricco di sorprese. Un album dalle infinite prospettive stilistiche, ricco di incantevoli innesti tra i groove ipnotici più tipici degli esordi ("ECHOES: I See Your Eye, Part 1"), l'etno-jazz e lo spiritualismo di Alice Coltrane e Sun Ra, la contaminazione prog e fusion, la musica atonale e l'arte dell'improvvisazione.
Composizione presentata allo Stockholm Jazz Festival sotto il titolo temporaneo di "Big Band", e ora riproposta con una più organica divisione tra le sette parti denominate "Echoes" e sette intervalli diversamente intitolati, la nuova opera del gruppo scandinavo si nutre di innovative forme di minimalismo ed esoterismo espressivo ("Sliding Whisper Of Pain"), merito anche del perfetto lavoro di missaggio di Jim O'Rourke.
Le composizioni esibiscono un'anima esplorativa che turba l'apparente sussurro sonoro con bagliori di elettronica ("Double Loneliness") e originali assolo dall'assortita genia che liberano furia e candore ("ECHOES: Lost Eyes In Dying Hand").
"Echoes" è un album in continua ricerca di nuovi fronti e limiti da esplorare, ma ricco di una coerenza che ha le caratteristiche tipiche di un classico riportato alla luce. Dettagli e assunti armonici si fondono in un unicum che vibra e cresce ("ECHOES: Forest Without Shadows"), trasmutando la malinconia in riflessione ("ECHOES: To Gather It All. Once." con Mariam Wallentin alla voce e l'algida "Respirations"), la forza in energia pura ("ECHOES: A Lost Farewell").
Brani come "ECHOES: Cala Boca Menino" restituiscono al termine fusion una nobiltà perduta e ne annullano le velleità da sottofondo. La contaminazione etnica resta funzionale a una musicalità tribal-ambient ("Nothing Astray. All Falling") o intensamente esplorativa e sperimentale ("In Those Veins. A Silvernet."), l'eloquenza strumentale non è mai fuori contesto.
Ennesima conferma dell'imprevedibilità e grandezza della formazione scandinava, "Echoes" è un'esperienza sonora unica, un disco che compensa l'attenzione e la pazienza concessegli dall'ascoltatore, un album da custodire con cura e assaporare senza limiti.
05/05/2023