Quando avevo sette anni mio padre se n'è andato in paradiso, probabilmente
Ho alzato gli occhi al cielo, incertezza
Mi ha fatto male
[...]
Telegrafica lo è sempre stata,
Loraine James. Ma "2003" è disarmante; poche frasi bofonchiate e due
beat in croce sotto un'elettronica disadorna, scricchiolante come un vecchio pavimento di legno. Una canzone intima e avulsa da ogni autoindulgenza, che rende all'ascoltatore l'immagine di una bimba confusa e indifesa, poi tramutatasi in una schiva adolescente che, da dietro cursori e manopole, scolpisce la materia digitale a propria immagine e somiglianza nella quiete della sua camera da letto.
La comunicazione è stringata al minimo, priva di licenze poetiche e neanche troppo urgente a dirla tutta, ma sottilmente carica di suggestione, quel tipo di arte muta che non balza mai all'attenzione al primo ascolto, ma che deflagra sotto pelle con l'andare del tempo. Perché, lungo una serie di attente uscite ravvicinate, Loraine è diventata naturale cantore di quel disincanto che si prova di fronte allo scorrere di una vita che va troppo veloce, di una società talmente occupata che non lascia via di scampo se non allontanarsene con una pressante titubanza che rimbomba nello stomaco. Il suo ultimo rifugio? "Gentle Confrontation", una sorta di diario segreto in chiave
idm col quale riallacciare le fila del passato e raccontare la propria storia. Sempre nel doveroso semi-silenzio di una sala da teatro in cemento armato, o all'ombra di un grigio palazzone popolare che si staglia contro il cielo di periferia della sua nativa Londra Nord.
Alla base di "Gentle Confrontation" esiste già un ossimoro di sorta, che poi si riflette nello stesso titolo, animandone il contesto su più piani percettivi. Adesso, infatti, un'autrice ultimamente abituata a comporre in solitaria riapre le porte e si "confronta" con una nutrita lista di ospiti, ma l'effetto ottenuto non è certo quello di una bolgia, anzi, ogni apporto esterno viene molto "gentilmente" filtrato nella poetica dominante. Tramite questi aiuti vocali tagliuzzati e processati al dettaglio, peraltro già attentamente selezionati tra una gamma di artisti con pre-esistenti affinità elettive, Loraine è in grado di tessere un composito arazzo elettronico nel quale lirismo e minimalismo non si pestano mai i piedi a vicenda. A momenti, le voci si confondono direttamente l'una dentro l'altra, accavallando pensieri e sussurri in un ascolto plurale ma coerente.
È quanto succede all'autrice americana alt-r&b
KeiyaA, disidratata lungo i solchi dell'interlocutoria "Let U Go" accanto alla stessa Loraine in un sottile gioco di desertiche allucinazioni psichedeliche. Fa specie la fatata presenza di Eden Samara su "Try For Me", avvolta da nebbie digitali reminescenti dei lavori di
Mhysa e della prima
Kelela, ma è con l'arrivo della concittadina
George Riley che Loraine mette a segno uno dei quieti trionfi dell'intero lavoro: "Speechless", lunare ballata sintetica che offre l'opportunità di un duetto dal calore erotico umido al tatto, eppure corroso da una tenerezza che è merce rara di questi tempi.
Altrove, le presenze maschili di RiTchie e Contour offrono ben altri sentimenti - il primo, già membro del trio
hip-hop Injury Reserve, avvolge l'
alt-rap di "Déjà Vu" con un abbraccio fraterno, l'altro offre la telegrafica chiusura decostruttivista di "Saying Goodbye". C'è anche la catalana Marina Herlop, sempre finemente pungente lungo l'ondivago
micro-breakbeat che sottolinea il cantico ancestrale "While They Were Singing". Curioso il dialogo strumentale con Corey Mastrangelo dei Vasudeva, "One Way Ticket To The Midwest (Emo)": come osservare due compositori elettro-acustici che si confrontano l'un l'altra tra
blip digitali e chitarre indie-rock processate col computer.
Ma come già intravisto con "2003", Loraine non perde certo terrreno quando rimane sola; la toccante "Cards With The Grandparents" offre un altro intimo ritratto familiare, stavolta dedicato ai nonni, i quali, nell'invecchiare, mostrano la fugacità del tempo che passa. Tra la quieta disperazione di "Tired Of Me" con annesso "Prelude" e "I'm Trying To Love Myself", Loraine prende a pugni la propria autostima con guanti digitali, poi schizza nervosa tra le alte frequenze di "I DM U", dando saggio di inusuali tessiture elettroniche, e ritrova nuovo conforto nel
footwork ammantato di ambient "Disjointed (Feeling Like A Kid Again)".
Ed è proprio questo salmodiare tra
beat e sentimento che rende "Gentle Confrontation" così strano ma familiare, come una conversazione con un'amica che, dallo schermo, è capace di raggiungere le curve del cuore con l'indice teso.
Un percorso ancora una volta originale per Loraine James, partita dall'elettronica spigolosa degli esordi sempre marcati
Hyperdub, poi avvolta dalle morbidezze meteorologiche di "
Whatever The Weather", e intenta a rielaborare gli studi del compositore Julius Eastman nell'eccellente "
Building Something Beautiful For Me". Il titolo non poteva essere più profetico, nonché educatamente anglosassone per stare in linea con i modi di fare di un'autrice che, un tempo, lavorava come maestra di scuola: "Gentle Confrontation", l'elettronica del cuore e della mente.
10/10/2023