Injury Reserve

Injury Reserve - Dalla farsa alla tragedia

Dai primi mixtape a tema odontoiatrico fino al drammatico album finale, del 2021, gli Injury Reserve hanno rappresentato una curiosa evoluzione da farsa a tragedia nel mondo hip-hop

di Antonio Silvestri

In dodici anni di attività, e soli due album, il trio dell’Arizona formato dai rapper Ritchie with a T (Nathaniel Ritchie) e Stepa J. Groggs (Jordan Groggs) e completato dal produttore Parker Corey ha lasciato un segno profondo nell’hip-hop alternativo, mostrando due facce assai diverse: una più burlesca, che incanala la creatività in brani atipici e asimmetrici, capaci di inserirsi al meglio nella tradizione dell’hip-hop alternativo, e l’altra angosciante e drammatica, che dialoga con il rumore e la sperimentazione, la destrutturazione e l’assordante. Dai primi mixtape a tema odontoiatrico fino al drammatico album finale, del 2021, hanno rappresentato una curiosa evoluzione da farsa a tragedia nel mondo hip-hop.

Mixtape era: Depth Chart, Live From The Dentist Office, Floss

ircorpo1Formati in Arizona nel 2012 come un duo di rapper, gli Injury Reserve sono inizialmente i soli Stepa J. Groggs e Ritchie with a T. Parker Corey arriva comunque poco dopo, anche per aiutare Ritchie a produrre il suo esordio, “Days Slow Nights Fast” (2012). Arriva il primo singolo su YouTube del duo, adesso diventato un trio: si chiama “Electric Relaxation” e, dopo essere stato rimosso dal web, è andato perduto per sempre.
Nel 2013 arriva il primo mixtape, Depth Chart, che racconta la storia di un giovane giocatore di basket con una carriera che fatica a decollare. In seguito il gruppo lo considererà una specie di errore di percorso, da escludere dalla discografia vera e propria. Rispetto a quello che arriverà, effettivamente, si tratta di musica molto più convenzionale, in linea con la tradizione jazz-rap. C’è qualche colpo di testa anche qua, come nel finale cacofonico di “Full Court Press”, ma in generale è musica abbastanza ordinaria, soprattutto per l’epoca in cui è stata pubblicata, e occasionalmente anche piuttosto obsoleta, come nel soul-rap novantiano di “Eveileb I” (“I Believe” al contrario).

Nel 2014 pubblicano i sette brani di Cooler Colors, anche questo disconosciuto dal trio. Come evidenziato dallo stesso Ritchie in un’intervista al Daily Texan, è un album ancora molto legato al sound di altre formazioni e altri rapper. Non hanno ancora nulla dello stile che svilupperanno in futuro e, col senno di poi, è sorprendente che siano cambiati così tanto nel giro di pochi mesi. Questo comunque non esclude che gli ascoltatori più attenti potranno trovare qualche elemento d’interesse, più nei beat che nel rap.

Gli Injury Reserve che pubblicano Live From The Dentist Office nel 2015 sono assai più creativi e imprevedibili.
Che siano i fiati brillanti di "Yo", con una deliziosa anima ballabile, lo sgangherato pianismo della prolissa “Friday” (feat. Curtis Williams), la malinconia nostalgica di "45" (feat. Demi Hughes) o il beat rilassato della placida "Whatever Dude", è tutto orientato a una rilettura del jazz-rap e del boom bap senza scadere nel calligrafico.
Il trio scarta anche verso un curioso mix di eccentrico e immediato in "Snowmen" (feat. Glasspopcorn), un Jay-Z in versione alternative, con una coda astratta e cacofonica, con importanti dosi psichedeliche, o verso l’ipnotica variazione sulle sensuali produzioni di Pharrell di “Wow”. Diverte più che mai nel balletto robotico di “Everybody Knows”, con lo spirito dei Beastie Boys più intergalattici.
La tendenza allo sperimentale emerge invece in "Washed Up", che destruttura il rap, sovrappone le melodie e affolla l’arrangiamento in una grande allucinazione ma anche nella canzone più memorabile dell’album, "Whiplash" feat. Chuck Inglish, tutta costruita su un synth ritmico su cui srotolare il rap fino a quando, a metà, il beat semplicemente scompare e rimangono dei suoni urbani, con tutto che si sposta improvvisamente su un marciapiede di una città trafficata.
L’equilibrio tra citazioni novantiane, semplicità e immediatezza pop-rap, esplorazioni psichedeliche e deviazioni sperimentali è la forza di Live From The Dentist Office, un mixtape che segna un cambio di passo rispetto a quanto pubblicato fino a questo punto della carriera. Detto questo, non aiuta la valutazione complessiva la tendenza del trio a dilungarsi, e diluirsi, che si avverte soprattutto nella coppia di brani finali, "ttktv" e "Falling": oltre 13 minuti che regalano troppo spazio a sperimentazioni che sembrano improvvisate tanto si rivelano ingenue e amatoriali.

Il tema odontoiatrico, dovuto all’effettiva registrazione di queste due release in uno studio dentistico, è centrale anche nel titolo del successivo Floss (2016), che prende le idee di Live From The Dentist Office per farle esplodere in un hip-hop che suona più aggressivo senza perdere del tutto i legami con i classici novantiani e con le tendenze sperimentali.
Un banger come "Oh Shit!!!" ha però la potenza di un brano trap di Denzel Curry e il delivery feroce di un Lil’ Jon, nonostante si chiuda con l’autotune e mitragliate ritmiche.

I say this ain't jazz-rap, this that, this that spazz-rap
This that raised-by-the-internet, ain't-had-no-dad rap
Yo, I'm good — don't pass that, hit me on my Snapchat
You might have to back-back, 'cause your shit is mad-wack
This that eeny-meeny-miney-moe, might need some Snapcash

Non è da meno il beat degno di Pharrell su cui si basa "Bad Boys 3", una danza hip-hop che unisce tribale e futuristico come se i Clipse avessero collaborato con Travis Scott.
Il divertimento domina la scaletta con molte canzoni da ascoltare al massimo volume ("All This Money"; "What's Goodie" feat. Cakes da Killa; “Back Then”; l’assordante "Eeny Meeny Miney Moe") ma non mancano nuove stravaganze jazz-rap e boom bap (l’extra-beat all’elio di "S on Ya Chest"; l’arrangiamento etereo di "Keep On Slippin" feat. Vic Mensa) e momenti psych-rap come "All Quiet On The West Side", rallentata e deformata senza scadere nel prolisso.
A confronto del precedente, questo mixtape è molto più spavaldo, sfrontato: le idee arrivano all’ascoltatore con più violenza, sotto forma di brani più densi e potenti, dove conta molto più come si dicono e suonano le cose di cosa viene effettivamente detto. Se Live From The Dentist Office è un album colorato e divertente, fiaccato da qualche lungaggine, Floss è un party album che ricorda i migliori Clipse, con elementi psichedelici e sperimentali di contorno. Lo stile novantiano che praticavano solo due anni prima, ancora legato ai topoi dell’epoca, è stato imbastardito da riferimenti futuristici, robotici e fantascientifici.

È una direzione che porta all’ancora più tecnologico e futuristico Drive It Like It's Stolen (2017), un Ep che ha perso completamente il fascino analogico di alcuni dei primi brani. Vive, piuttosto, di creazioni digitali che potrebbero ispirarsi agli Autechre (“TenTenths”; “91 Cadillac Deville”) o sembrare riletture della Bomb Squad nell’epoca dell’ascesa del southern e delle produzioni della trap (“See You Sweat”). Il mood è in più occasioni inquietante e teso, al limite persino dell’horrorcore in “Boom (X3)”. Il brano più famoso di questo Ep è invece l’esanime “North Pole” (feat. Austin Feinstein), una riflessione amara sulla vita e le sue difficoltà.
Pur nella sua veste di Ep, Drive It Like It's Stolen completa Floss e la sua esuberanza, delineando il profilo atipico di un trio hip-hop che sa essere divertente e inquietante, spavaldo e introspettivo. Quando nel 2021 chiuderanno la carriera con By The Time I Get To Phoenix troveranno definitivo compimento proprio le tensioni drammatiche di Drive It Like It’s Stolen, mentre Floss avrà un ideale seguito nell’esordio omonimo, Injury Reserve.

Album era: Injury Reserve, By The Time I Get To Phoenix

Il trio dell'Arizona arriva finalmente all'esordio e non fa rimpiangere la lunga attesa. Eccentrici e divertenti, i 13 brani di Injury Reserve spazzolano un ampio spettro di modi di fare hip-hop: a tratti scanzonato ai limiti del demenziale, come il più burlesco degli Eminem, altre volte aggressivo come i Death Grips più caustici, altre volte spassosamente sbilenco, stravagante, meta-musicale. È pubblicato dall’etichetta Loma Vista, che ha lavorato negli anni anche con, tra gli altri, Iggy Pop, Korn, Common, Denzel Curry, Alice Glass, St. Vincent, Soccer Mommy.


"Koruna & Lime" costruisce un rap su un saltellante miscuglio di suoni cacofonici, dai toni grotteschi e demenziali, ma "Jawbreaker" azzarda ancora di più con fischi e campanellini. Quando si è convinti di essere all'ascolto dell'album di alt-hip-hop dell'anno, ecco che arriva la ruvida esplosione di grida e distorsioni di "GTFU". Il momento ideale per comprendere l'eccezionalità dell'opera è "Jailbreak The Tesla", un brano dai toni cupi, con un beat fatto di percussioni metalliche e sub-bass assordanti che fa contrastare tanta bravado con un testo deficiente e sample didascalici, con un esilarante "Your engine go vroom and my engine go [silenzio]".
Marshall Mathers sarebbe fiero di "Gravy n' Biscuits", molto vicina anche allo Snoop Dogg degli esordi, ma il colpo di genio è probabilmente il meta-brano "Rap Song Tutorial", vademecum dell'hip-hop stravagante che costruisce una canzone in pochi passaggi consecutivi. Sorprendente che riescano anche a proporre un brano emotivo come "What A Year It's Been" senza rinunciare alla creatività di voci stravolte e una partenza in punta di piedi seguita da arrangiamenti massimalisti degni del più boombastic dei Kanye West. Quest'ultimo è richiamato anche in "Three Man Weave" e nel suo sontuoso stile vintage.
Un album d’esordio fulminante, che gioca con l'hip-hop post-2000 con ironia ma è anche guidato dall'amore per alcuni artisti celebrati. Difficilmente si trova tanta fantasia e creatività, nonché la capacità rara di rimanere al confine fra sperimentazione e scherzo, fra ambizione e divertimento. Menzione speciale per i testi, ben lontani dai cliché ritriti e anzi efficaci tanto nei loro aspetti più umani quanto nei frangenti più eccentrici, ironici o surreali. Collaborazioni non banali e una produzione sempre curata e personale completano il quadro.

Il 29 giugno 2020, poi, Groggs muore, senza che la causa sia comunicata alla stampa. Gli Injury Reserve ritornano con l’autoprodotto By The Time I Get To Phoenix (2021), un gruppo di brani pronto a scardinare l'hip-hop contemporaneo. La band è stata segnata profondamente dal lutto, ma questo non è un album scritto in memoria di Groggs: le composizioni sono state quasi del tutto ultimate prima della dipartita e riflettono piuttosto il difficile passaggio storico tra gli anni Dieci e Venti, intrecciato ad altri drammi personali. È il riflesso della devastante pandemia di Covid-19 e delle tumultuose vicende legate all'omicidio di George Floyd sullo spirito del gruppo. Il titolo, ispirato dal brano di Jimmy Webb "By The Time I Get To Phoenix" incluso sul capolavoro di Isaac Hayes "Hot Buttered Soul" (1969), è stato scelto da Groggs, a cui l'album è comunque dedicato.
Se Injury Reserve era una collezione di idee creative sui modelli più o meno consolidati del genere, qui l'impressione è che l'obiettivo sia farlo a pezzi per ricomporlo in strutture asimmetriche e caotiche, astratte e rumorose. Se quello del 2019 era un album divertente con slanci sperimentali, questa volta siamo dinanzi a un programmatico esercizio di distruzione che sfida continuamente l'ascoltatore, come chiarito sin dal singolo di lancio “Knees”, alt-rap sospeso a mezz’aria.
"Outsider" è messa in apertura quasi per fungere da selezione all'ingresso: un magma ansiogeno e assordante, con un rap minaccioso accompagnato da synth retrofuturistici che chissà come si trasformano in una giostra danzante. Il primo beat riconoscibile è quello industriale e asimmetrico di "Superman That", con le voci cambiate di tonalità e passate attraverso le rimodulazioni, mentre l'arrangiamento si satura di deflagrazioni. Non è di più facile ascolto "SS San Francisco" (feat. Zeeloperz), blues desertico dove la batteria è rallentata fino alla deformazione e il finale è un sovrapporsi di canti di fantasmi in un paesaggio desolante.
Uno dei momenti più assurdi è il frenetico tribalismo di "Footwork In A Forest", in chiusura ridotta alla caricatura di un industrial-rap, con un lamento al rallentatore e il ritmo che infuria senza regole. "Smoke Don't Clear" si apre come uno dei canti surreali dei Residents, un'allucinazione disperata e ansiogena, ma a colpire ancora di più è la malinconia sconfinata di “Top Picks For You”, triste riflessione sul lutto ai tempi degli algoritmi, fra lamenti sintetici e un parlato che solo a tratti ritorna rap.

As the dust settles, shake it off of me, shake it off of me
(The train is still on schedule)
Yeah, your pattern's still in place, algorithm still in action
Just working so you could just jump right back, jump right back
I seen that shit working like nothing ever happened
I go to power on, I see your shit still happenin', yeah
I felt loss but a hole like this I never could'vе imagined
Your pattern's still in place, algorithm's still in action
As I scroll through I see a piеce of you is still reacting

Il tempo sembra essersi spezzato, infranto in mille pezzi, e tutto l'album combatte e vive di questa distruzione. I battiti si confondono, rifratti in sincopi e moltiplicati in scariche. Le voci si sdoppiano con echi e riverberi, mutando con aggressivi pitch-shift e rallentando fino a sfilacciarsi, rompersi, trasformarsi. Le melodie, quando ci sono, sono scomposte, disordinate e fallate, triturate o quantomeno danneggiate fino a metterne in discussione il ruolo: più che un filo conduttore dei brani, distrazioni e deviazioni da processare durante l'impegnativo ascolto.
È il tipico album che conquista anche il pubblico che ama l'hip-hop soprattutto quando è atipico, più cLOUDDEAD che Nas. È un album toccante, violentemente creativo, che può fungere da ideale catarsi per processare i dolori del nostro tempo, come certa grande musica riesce a fare.

In seguito a questa pubblicazione, e come conseguenza della morte di Groggs, i due superstiti dichiarano conclusa la vicenda Injury Reserve: sono nati come un trio e, quindi, non avrebbe più senso continuare con questo nome. Ritchie e Corey continuano come By Storm, pubblicando nel 2023 il singolo “Double Trio”.

Injury Reserve

Discografia

Depth Chart (mixtape, self-released, 2013)
Cooler Colors (Ep, self-released, 2014)
Live From The Dentist Office(mixtape, self-released, 2015)
Drive It Like It's Stolen(Ep, self-released, 2012)
Floss (mixtape, self-released, 2016)
Injury Reserve(Loma Vista, 2019)
By the Time I Get To Phoenix(self-released, 2021)
Pietra miliare
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