In simbologia il dodici è il numero che traduce implicitamente gli ostacoli, i passaggi difficili, gli enigmi da risolvere. Il momento che sta vivendo Ryuichi Sakamoto è il più terribile. Lo straordinario compositore giapponese sta combattendo da anni contro il cancro, che ne sta segnando in modo indelebile l'esistenza, tanto da arrivare a considerare il male che alberga nel suo corpo un inopportuno compagno di viaggio con il quale provare a convivere forzatamente, prima che l'uno esaurisca l'altro.
"12" è soprattutto il titolo del suo nuovo progetto artistico, a sei anni di distanza dall'eccellente "async", inevitabilmente solcato da tali vicissitudini. I fatti hanno spinto Sakamoto a riattaccare bottone con i sintetizzatori, da tempo accantonati, ora utilizzati per redigere un proprio audio-diario che potesse ben documentare l'animo inquieto di questo duro percorso personale.
Dodici sono anche i brani che compongono questa collezione, certamente una delle più intense ed evocative espresse dall'artista nipponico, ognuno identificato con la sola, scarna, data di registrazione. "12" è il manifesto di smarrimento di uno dei musicisti più affermati del XX secolo, realizzato in dimore temporanee e forzate, una condizione che conferisce al prodotto un senso di vuoto non effimero.
I sintetizzatori, eccoli, prendono possesso della scena già dal primo brano "20210310", echi desolati e dolenti, una sorta di inviluppo sintetico e siderale che si adagia lungo il percorso verso sprazzi più sereni, attimi dove emerge l'inconfondibile tocco dell'artista. Una materializzazione che si plasma in "20211130", dove fa ingresso il pianoforte, con le tipiche vibrazioni minimali che Sakamoto utilizza per far espandere i silenzi tra una nota e l'altra, qui coadiuvati da flebili sfondi elettronici.
Un'altra costante di questo intenso lavoro è la presenza tangibile del respiro umano, con ogni probabilità il suo, un effetto che esordisce in "20211201", un movimento ritmato che funge da direttore d'orchestra, ma che cela al suo interno sia sentimenti di sofferenza, che di conforto.
L'oscurità si palesa nella forma più assoluta in "20220202", dove i synth accompagnano in un mare ronzante, impetuoso e sinistro, ambientazione che mostra il luogo nel quale la vita e la morte lottano fino all'estremo. Un netto contrasto con la nebulosa dolcezza emanata da "20220207", in cui gli appunti costanti al pianoforte sono ornati da raccolti suoni sintetici e da rumori che sembrano provenire dall'utilizzo di dispositivi medici. Con "20220214" si raggiunge l'apice dell'ombra sonora, con dilatate tensioni elettroniche, quasi drone, che si proiettano nello spazio più profondo.
Lo spartiacque è rappresentato da "20220302", unico brano identificato anche da un sottotitolo ("sarabande"). Da questo momento, e per le successive quattro composizioni, il palcoscenico è calcato da Sakamoto e dal suo pianoforte. Scompaiono gli inserti elettronici, ad eccezione di sporadiche apparizioni. L'orizzonte si schiarisce e la melodia prende il sopravvento. L'eleganza di "sarabande" gronda di rimpianto e rassegnazione. È il raro momento in cui sono riconoscibili il dolore e la fatica della vita, insieme alla sua straordinaria bellezza.
Con l'ausilio di un sintetizzatore e di un pianoforte, Sakamoto ha trasformato un quotidiano diario di bordo in qualcosa di trascendente.
Se si tratti di una delle sue opere principali è un quesito a cui ora è difficile dare risposta. Arrivando in mezzo a una battaglia contro una grave malattia, il coraggio mostrato da Ryuichi Sakamoto è tanto splendido quanto provocatorio, raffigurando il messaggio proveniente dall'anima di un artista che vuole mettersi a nudo, dopo aver scritto e prodotto alcune delle musiche più belle degli ultimi cinquant'anni.
Le sperimentazioni e le esplorazioni offerte dal Maestro sono una gioia che ancora oggi pochi altri sono in grado di offrire.
21/01/2023