Welcome to paradise. I Temples non hanno mai fatto mistero della loro attitudine ai ritornelli super-catchy, e con “Hot Motion” avevano spinto tantissimo in quella direzione, dividendo la critica rispetto agli apprezzati esordi più sofisticati, all’insegna del rock psichedelico con “Sun Structures” e degli arrangiamenti inusuali di “Volcano”. Riuscirono tuttavia a portare a casa un risultato soddisfacente con brani efficaci e impossibili da far uscire dalla testa una volta ascoltati. Il loro quarto capitolo “Exotico” vanta il nome di Sean Ono Lennon alla produzione e di Dave Fridmann (Mercury Rev, The Flaming Lips, MGMT) al mixer, e si presenta come un tentativo di coesistenza dell’anima pop e radio-friendly della band di Kettering, con le sferzate strumentali che includono dettagli glam, neo-psichedelia e, come si evince dal titolo stesso, esotismi sonori. Dal punto di vista testuale il gruppo si concentra sul rapporto che l’uomo ha con la natura e con il tempo, e sulle momentanee evasioni dalla realtà, possibili grazie ai sogni ad occhi aperti.
L’ottimo opener “Liquid Air” ruota intorno alle ansie quotidiane e inizialmente sembra ricollegarsi a “Monuments”, conclusione del precedente capitolo “Hot Motion”, salvo ingranare con riff e sintetizzatori seventies di rimando al debutto, alternati a brevi passaggi dalle atmosfere lounge. Le melodie giocose ed estive delle strofe che decantano la bellezza della natura nella traccia di spicco “Gamma Rays”, celano al contempo un monito a coloro che non prestano attenzione ai pericoli che essa nasconde.
Il viaggio immaginifico prosegue tra i ritmi placidi delle percussioni e i rintocchi di nacchere di “Exotico”, che accenna arie orchestrali grazie all’intervento degli archi, agganciando alla coda il breve intermezzo stralunato “Sultry Air”. Appaiono esotismi marcati nella più decisa “Cicada”, brano dall'intro inaspettata che avrebbe potuto rappresentare una svolta king-gizzardiana a sorpresa, mancata tuttavia a causa della scontata ricerca del sing-along, marchio di fabbrica inseguito dal gruppo.
A fronte di un inizio valido, seguono la nostalgia pop delle riflessive “Oval Stones” e “Slow Days”, e il carattere quasi prog tra anni Settanta e Ottanta di “Crystal Hall”, che poco aggiungono alla produzione del gruppo. Il daydreaming theme tiene banco nel lungo intermezzo (superfluo) scandito dalla bassline scura “Head In The Clouds”, apripista alla piacevole e interessante “Giallo”, omaggio alle colonne sonore del cinema horror italiano, che guarda in direzione dei Goblin (in particolare alla loro original score di “Phenomena” di Dario Argento) e anche all’immancabile Morricone dei thriller anni Settanta. Si torna in territorio danzereccio con l’introspettiva “Inner Space”, puntando quasi esclusivamente sui viaggi dell'elettronica incalzante in zona Tame Impala in “Meet Your Maker” e sui soliti ritornelli armonici à-la MGMT di “Time Is A Light”.
Il trittico conclusivo comprende le scanzonature indie-pop di “Fading Actor”, le riflessioni sulle relazioni a distanza avvolte dai synth di “Afterlife” e la strumentale “Movements Of Time”, che fa ancora una volta riferimento alla struttura delle soundtrack.
Le tante ripetizioni e i passaggi superflui presenti nella seconda parte di “Exotico” si contrappongono al talento innegabile di James Bagshaw e soci in qualità di strumentisti: ne consegue che il risultato generale avrebbe potuto essere più apprezzabile (il termine corretto sarebbe “digeribile”, arrivare in fondo all’album non è semplicissimo) e bilanciato con qualche taglio in più e sing-along di meno. Resta il fatto che i Temples si salvino nuovamente in extremis con alcuni brani ottimamente confezionati e qualche trovata interessante nascosta qua e là.
17/04/2023