Un doppio album non è un'impresa facile: prolissità e discontinuità sono in perenne agguato, ma Ruban Nielson è un indomito avventuriero delle sette note e dei suoi derivati. L’alieno pop psichedelico della Unknown Mortal Orchestra in chiave lo-fi ha da sempre rimestato nel calderone della miglior pop music: funk, hard-rock e soft-rock si sono baciati fugacemente, mentre svolazzi sperimentali, contagiosi flussi da jam session e bedroom-pop ne rifinivano le scheletriche sonorità, spesso compresse al punto da creare una piacevole insofferenza.
I quattordici brani di “V” riassumono tutto quanto finora espresso dalla band neozelandese: il suo quinto disco è avvincente come le montagne russe, oltremodo suggestionato dal clima tropicale di Palm Springs e delle Hawaii, luoghi che hanno ospitato parte delle registrazioni dell’album durate gli ultimi cinque anni.
Il quinto album della Unknown Mortal Orchestra sulla carta è candidabile come il suo miglior disco: un continuo susseguirsi di colpi di genio e svogliatezze che da per certi versi conforta chi ha sempre apprezzato il fantasioso anticonformismo di Ruban Nielson. Un'opera che contiene piccole perle alle quali è difficile rinunciare: il funky-jazz di “Window” è una delle intuizioni musicali più fluide, swinganti e melodicamente subdole di Nielson, mentre uno dei tre singoli finora pubblicati, l'eccellente “That Life”, realizza il sogno di chiunque brami una collaborazione tra Prince e i Khruangbin.
Lo spirito irriverente dei neozelandesi è palese nella divertente “Layla”, che nel citare il titolo di uno dei brani più iconici del rock chitarristico ne smembra eventuali reminiscenze e lo reinventa con quei toni caraibici che proprio Eric Clapton sposò in “461 Ocean Boulevard”.
In contrapposizione a tanta inventiva, resta l’amaro in bocca per l’immobilità alla quale è condannata una canzone come “Guilty Pleasure”, o per come risulti oltremodo stridente la solare vitalità minimalista di “The Garden”. Nulla di nuovo per chi è avvezzo all’esemplare psichedelia lo-fi di Nielson & C., che a molti ricorderà il fascino mellow-sex del conterraneo Connan Mockasin (“Meshuggah”), anche se i toni e le ambientazioni sono decisamente più leggere, quasi yacht-rock (“Weekend Run”).
Resta però la sensazione che Ruban Nielson alla fine resti imprigionato dall’esuberanza emotiva del progetto: brani come “I Killed Captain Cook” e “Nadja” sono nello stesso tempo importanti e superflui, perfettamente funzionali a un doppio album, ma anche indice di un’approssimazione tecnica che da marchio di fabbrica si sta trasformando in limite espressivo.
“V” è forse l’album più spontaneo e punk della Unknown Mortal Orchestra, un disco che regala perle strumentali come “Drag” e moderne ballate in stile psych-fingerpicking come “In The Rear View” che trasudano sentimento e passione, qualità sufficienti per archiviare il pur discontinuo doppio album come un esaltante patchwork di riflessioni, pensieri, confusioni e ossessioni.
17/04/2023