Liam Shortall: corto.alto. Un pun che solo un britannico avrebbe potuto concepire, e infatti è di Glasgow il caleidoscopico progetto jazz fusion capitanato dal polistrumentista: un ricco ensemble che unisce a una messe di fiatisti il rinomato batterista Graham Costello, già protagonista degli Strata. Dopo il raffinato album d'esordio "Bad With Names" (2023), che aveva già portato la formazione tra i candidati al Mercury Prize 2024, col secondo Lp "30/108" Shortall cambia registro e abbraccia un caos calcolato, realizzando un disco tanto imprevedibile quanto entusiasmante.
L'album nasce da un processo creativo febbrile: durante la promozione di "Bad With Names", Shortall ha accumulato ben 108 demo, esplorando nuove idee di groove, sound design e composizione senza preoccuparsi di perfezionarle. Dopo una pausa a inizio 2024, Shortall si è preso quattro mesi per completare 30 di queste tracce, registrando sia nel suo studio domestico che a distanza. Obiettivo: un risultato quasi all'opposto dell'album d'esordio - non un sound levigato, ma un guazzabuglio centrifugo capace di convogliare l’energia delle idee in movimento.
"30/108" è insomma un progetto dalla natura deliberatamente frammentaria, che si rivela tuttavia una raccolta avvincente, e in più episodi addirittura folgorante. L'esplosiva apertura "Chubby (48)" mescola botta-e-risposta afrobeat, ritmi latini e una vena wonky urbana e imprevedibile che fa pensare a una sorta di outtake bandistica dell'ormai quasi leggendario "Æ" di Anton Eger.
Più contenuta ma altrettanto vivace, "Messing (71)" incalza con un broken beat serrato, fatto di pause e ripartenze, mantenendo alta la tensione per tutta la sua breve durata.
Nell'estrema varietà della scaletta, a dare respiro all’ascolto è invece "Dust", un brano limpido e radioso che lascia il palcoscenico ai timbri caldi del Rhodes di Fergus McCreadle (anche lui attivo negli Strata) e coi suoi quasi sei minuti tocca la durata massima fra le tracce del disco. L'anima pensosa e quella effervescente convergono anche nella conclusiva "4:16am (45)" unendo il sax suadente di Tallulah Rose a un drumming frastagliato che sfiora il drill’n’bass.
L'album si muove tra stili diversi con disinvoltura e una buona dose di aleatorietà, ma la personalità della sintesi non risulta mai smarrita. Ogni brano è una piccola svolta, un passaggio che sa sorprendere senza cedere alla confusione, mantenendo un equilibrio precario che ha proprio l’inatteso come suo punto saldo.
06/12/2024