L’interlocutoria prova di “Larderello”, Ep uscito nel 2021 a distanza di un anno dall’altro lavoro dal minutaggio ridotto “Dos Siki” e a due dall’esordio “Dos City” (in cui Zo Zhit, Taitan e NGS avevano miscelato, con gusto a tratti anche surrealista, jazz-hop, boom-bap e sperimentazione assortita)… l’interlocutoria prova di “Larderello, si diceva, aveva lasciato sul terreno alcuni interrogativi circa il futuro dei Dos Monos. Perciò, questo loro nuovo lavoro l’ho accolto come un importante banco di prova, soprattutto dopo aver dato uno sguardo alla press-kit, in cui sostanzialmente si dice che in “Dos Atomos” il trio giapponese si allontana coraggiosamente dal suo caratteristico sound guidato dai sample, per mescolare “tutto ciò che amavano da bambini, dal rap, al metal, al noise rock e persino al J-rock”, facendo leva sia su strumenti suonati dal vivo che sull’aiuto di alcuni musicisti ospiti, tra cui “il leggendario Otomo Yoshihide”. Insomma, questo è - si legge testualmente - “il progetto più esplosivo che abbiano mai realizzato”.
Da un punto di vista concettuale, invece, “Dos Atomos” è “incentrato sul sole e sull'energia nucleare”, soprattutto in relazione al “forte desiderio del gruppo di ripensare cosa significhi davvero essere giapponesi”, perché, “se da un lato il Giappone è un paese che ha venerato il sole come una delle sue principali divinità (persino nella sua bandiera nazionale è presente), dall'altro è un paese che soffre di ‘sole artificiale’”, essendo stato “bombardato con armi nucleari e colpito da un disastro nucleare”. Come se non bastasse, il nucleare è un tema che è entrato prepotentemente nell'arte e nella cultura giapponese moderna, basti pensare all’epopea del mostro Godzilla (cui in “Dos Atomos” si fa esplicito riferimento ad esempio in “MOUNTAIN D”, tra schitarrate industrial-metal ed echi di American old-school), al film “Nausicaä della Valle del vento”, diretto nel 1984 da Hayao Miyazaki, e alle opere dell’artista Takashi Murakami.
In poco meno di quaranta minuti, i Dos Monos passano in rassegna tutto questo spettro di riferimenti socio-culturali, facendo leva su un sound multisfaccettato, che ha fatto tesoro anche della lezione onnivora dei Black Midi, la band inglese con cui il trio di Tokyo ha suonato nel 2022 in alcuni concerti nel Vecchio Continente. “Dos Atomos” è, quindi, una giostra di incastri, cambi di ritmo repentini, decostruzioni e ricostruzioni spericolate, a simboleggiare un presente oltremodo sfuggente, direi finanche schizofrenico, altro aggettivo che rende bene l’idea di una musica che guarda un po’ a tutti i generi per destabilizzarne, frullarne e ricontestualizzarne significati e stilemi. Perciò, nessuna sorpresa dinanzi alle schitarrate metal che fanno capolino in brani quali “Harou”, “Undo” e “Atom”, caratterizzati da beat & rhymes che schizzano da tutte le parti e capaci di produrre nell’ascoltatore una via di mezzo tra un bel gran bel mal di testa e un sorriso beota. “Hi No Tori” gioca con voci pseudo-cartoonesche e fantasmagorie di beat senza fissa dimora, mentre Otomo Yoshihide smanetta sul giradischi in “Que Gi”.
C’è un senso di giocosa esplorazione, in episodi quali la progressiva “Bon” e nel postmodernismo in sedicesimo di “Datto”, ma un po’ tutti i brani parlano la lingua di un’inventio tendenzialmente senza freni, e allora nessuna sorpresa se la zoppicante e caotica “Kids” si ritrova a essere introdotta da un conciliabolo free-jazz, e se “Cojo”, in cui i Dos Monos gettano uno sguardo sul conformismo indotto dalla società dei consumi, fa leva su un congegno di meccanico art-rock. Poco prima che il sipario si abbassi, “Inu” riesce addirittura a declinare jazz-hop così come potrebbe farlo una banda di paese dopo aver trascorso una serata ad elevato tasso alcolico.
13/11/2024