E pensare che questo album poteva non essere registrato. Nei quattro anni che lo separano da "Kitchen Sink", la vita di Nadine Shah ha ricevuto talmente tanti scossoni che ha rischiato seriamente di interrompersi. Con la pandemia e i suoi strascichi a fungere da bieco contesto, la formidabile autrice britannica ha dovuto affrontare la morte della madre, si è sposata, ha subito un rovinoso tracollo che l'ha portata a tentare il suicidio. Da qui la faticosa risalita in un centro di recupero e infine il divorzio. Non è proprio poco da gestire, in un lasso di tempo tutto sommato alquanto contenuto. Disporre però della caratura della musicista che ha nel suo carniere dischi come "Fast Food" e "Holiday Destination" conduce a una certezza: l'assoluta abilità elaborativa, l'impeto che converte la tragedia in oscura materia narrativa. Presentarsi con tutta la sporcizia accumulata in questi anni è una necessità inderogabile, l'esigenza di un mondarsi pubblico e privato con cui scendere a patti, posta la giusta distanza, col proprio inferno interiore. E chi lo dice che nel ripulirsi del proprio strazio non possa scappare anche una risata di cuore?
Di nuovo steso assieme a Ben Hillier, vero complice di Shah sin dagli esordi, "Filthy Underneath" è disco che spezza, si spera in maniera definitiva, alcuni degli assunti su cui ha finora poggiato il percorso dell'artista. Primo tra tutti la voce: non più soltanto l'intenso contralto che ha contraddistinto ogni sua fatica, con questo lavoro si libera da ogni limitazione, si fa slancio ferino, mostra inattese cornici soul, piroetta invasata quasi parlando del niente. È il caso di "Topless Mother", affilato spaccato di ordinaria incomunicabilità tra l'autrice e un suo terapeuta, in cui il ritornello è un rapido vomitare di parole in libertà, accostate con euforico slancio infantile.
Già "Even Light", però, con i suoi accenti sintetici stravolti a mo' di ottoni e le geometrie di basso, fa sfoggio di una voce che non teme lo slancio verso l'alto, la pienezza del proprio potenziale. E se è vero che i cambi sonori sono stati una costante nel percorso della musicista, nondimeno mai come adesso si osserva una potente eterogeneità di tratto, che non dimentica i trascorsi post-punk del recente passato ma li lascia navigare in vibranti acque arty, sulle quali la luce proietta sinistre figure, tutte dotate del proprio colore.
È difficile restare inermi di fronte alla spirale discendente che Shah immortala in vari brani. Difficile restare impassibili davanti alla poesia obliqua di "Greatest Dancer", il resoconto di una notte di delirio trascorsa a ballare in stato di allucinazione di fronte a una puntata di "Ballando con le stelle": il groove di base, più che invitare alla danza, è l'oscuro annuncio di una mente che ha perso il controllo, intossicata da una perdita troppo grande da processare.
Il capitolo spoken di "Sad Lads Anonymous", tutto giocato su un gorgogliante basso gotico, fa uso di una sferzante autoironia per commentare la pessima decisione di un trasferimento in una fatiscente cittadina di mare. Che il marcio di quel periodo possa palesare addirittura risvolti umoristici è la vera forza di un lavoro che non cade mai nell'eccesso, ma adotta linguaggi volta volta diversi per raccontare la sua brutale vicenda. Sfilano in rassegna i volti dei compagni di riabilitazione: a loro è dedicata "Twenty Things", il disperato canto a una comunità che ha perso elementi nel faticoso cammino verso la disintossicazione.
Il taglio rarefatto della produzione, l'ossessiva insistenza rendono il brano la più vischiosa ballata ambient degli ultimi anni, a cui fa da contraltare la fine fragilità di "Hyperrealism", la cosa più vicina al pallore innevato di "Love Your Dum And Mad", col pianoforte in bella mostra e un inatteso tocco soulful.
Ha tutto il senso del mondo che la conclusione sia affidata a "French Exit". Giocando sul significato del titolo, che indica l'allontanarsi da una festa senza salutare chi resta, Shah affronta il momento del tentato suicidio. Con pudore, in controluce, creando appunto il minor disturbo possibile: nel gesto estremo, nell'atto violento che non può privarsi di una sua specifica tensione (gestita con fare alla Lopatin), cala il sipario. Di colpo, lasciandoci parte integrante di una storia che l'album trasporta nel futuro. Oltre l'angoscia, oltre lo smarrimento, si cela la liberazione. Mondatasi da tutto lo sporco, Nadine Shah ha impugnato la propria vita con decisione.
21/02/2024