Nato da un’idea del 2020 - quando Nicolás Jaar suonò al Museum of Memory & Human Rights di Santiago del Cile - “Piedras” è un'autentica rivoluzione per la discografia del musicista cileno, un'evoluzione che ha richiesto quattro anni di gestazione con la fase intermedia di “Archivos de Radio Piedras”, registrazioni radiofoniche di un prossimo e immaginario mondo distopico. Nel Cile del futuro (ma potrebbe essere qualunque paese del mondo) lo sviluppo tecnologico è rivolto esclusivamente al controllo e alla repressione della popolazione e chi vuole cercare piccoli spazi di libertà è costretto a tornare all'utilizzo delle frequenze radio (una di queste è Radio Piedras), ormai considerate obsolete dal governo.
Da qui nasce “Piedras”, diviso in due parti, novanta minuti di musica decisamente anomala per Jaar. Quale legame potrebbe esserci con i suoi lavori precedenti non è facile dirlo. Forse “Piedras” è l'evoluzione politica di “Sirens”, la sua opera più originale e appunto più politica, dedicata ai ricordi del padre del tragico periodo di Pinochet. Oggi Nicolas cambia mantenendo un legame spirituale con “Sirens”, immaginando un futuro che è legato fortemente al passato del Cile (il golpe filo-americano di Pinochet e la tragedia dei desaparecidos) e citando varie volte l’odierno genocidio palestinese (“Rio De Las Tumbas”), come a dire che quello che è accaduto in Cile nel 1973 succede ancora oggi in ogni regione del mondo.
“Piedras” ha quindi uno svolgimento narrativo che utilizza vari generi come supporto, dai momenti avant ai ritmi reggaeton rallentati sino a renderli totalmente alieni rispetto al loro genere di provenienza.
Il primo volume è quello più prettamente musicale, con vari brani importanti come “Pietras”, a metà tra una onirica ballata elettronica e musica da videogame, interessante soprattutto per la scelta timbrica del suono dei synth. In “Agua pa Fantasmas”, Jaar tenta un personale approccio alla musica trap in versione intellettuale, come anche in “Rio de Las Tumbas” i ritmi latini vengono utilizzati per comunicare temi decisamente impegnativi, come quello del destino del povero popolo palestinese. Se Jaar trasforma generi prettamente da ballo in strumenti di riflessione, “Song For Hope” chiude il primo volume con lenti ritmi lounge rilassanti e una voce che sembra strappata da un disco di Bon Iver, utilizzata con la medesima maestria.
Nel secondo volume di “Piedras” la musica fondamentalmente scompare nel nulla. Questi quarantacinque minuti divisi in dodici brani diventano una lunga composizione iperminimale di rumori, silenzi, piccolissimi pattern elettronici e monosillabi di voci registrate con il vocoder (“Even Heaven Is Uneven"). Le poche note sono così rallentate e sfocate da divenire lisergiche (“El Azar”) e infine scomparire in un nulla silenzioso con canti da fantasma, che sembra una metafora di un mondo (forse solo in parte immaginario) dove l’avidità e il potere di pochi dominano incontrastati (“I, You”).
26/12/2024
Piedras 1
Piedras 2