Sono così rare le occasioni discografiche per parlare dei Portishead (4 album in 30 anni!) che non potevamo lasciarci sfuggire quella offerta da questa inaspettata ristampa. Un'uscita preannunciata dall'antipasto offerto il 2 novembre scorso, quando, in occasione del venticinquesimo anniversario di "Roseland NYC Live", sui profili social della band inglese Adrian Utley annunciò che era disponibile in streaming una nuova versione rimasterizzata ed espansa dello storico disco live del 1998. Dopo aver riassaporato la magia di quel concerto in streaming, ora è possibile anche fruirne in versione fisica, attraverso questa nuova "Anniversary edition", disponibile in doppio Lp con vinile rosso Ltd Edition e digipack cd. Il singolo "Live 1998 Sour Times/ Roads" in vinile 10" sarà invece disponibile dal 31 maggio esclusivamente sul sito Universal.
Rimasterizzata e ampliata, la nuova versione del live include ora "Undenied" e "Numb" (in una splendida versione tutta ghirigori di tastiere e wah-wah), che comparivano originariamente solo nel video del film-concerto, e la performance integrale di "Western Eyes", che appariva in parte nei titoli di coda della pellicola. Anche "Sour Times" e "Roads" sono ora presenti nelle versioni originali del Roseland, mentre nell'album del 1998 erano state utilizzate registrazioni tratte da altri concerti (rispettivamente, il live al Warfield di San Francisco del 1º aprile 1998 e l'esibizione al Quart Festival di Kristiansand del 3 luglio 1998). "Conservo un vivo ricordo di questo show in cui abbiamo suonato il nostro secondo album prima della sua uscita - spiega Utley, che ha supervisionato il progetto - Era la prima volta che il pubblico ascoltava le nuove canzoni, e lo spettacolo era stato organizzato proprio per lanciare il disco che in seguito ci avrebbe portati in una tournée mondiale. È stata prestata grande cura alle orchestrazioni e alla regia".
Registrato nel 1997 con un'orchestra di 28 elementi all'interno della leggendaria Roseland Ballroom di New York, una piccola e suggestiva venue per concerti che purtroppo non esiste più, l'album catturava i Portishead all'apice della forma e della fama, ancora freschi di gloria per il trionfo di "Dummy", caposaldo definitivo del trip-hop, e pronti a immergersi nelle più oscure ma non meno suggestive trame sonore del successore ("Portishead", 1997). Ed è proprio il brano-capolavoro di quest'ultimo, "Humming", ad aprire il sipario: brusio, i musicisti che accordano gli archi e poi quel sibilo agghiacciante del theremin a irrompere in sala, prima che la voce straziata di Beth Gibbons intonasse la sua spettrale litania su un tappeto ossessivo di beat e scratch. Chi ha assistito ad almeno un concerto dei Portishead (il sottoscritto ebbe la fortuna di seguire il live a Roma nel 2012) sa quale incredibile carica magnetica possa sprigionare una performance di Gibbons, ma quelle al Roseland sembrano possedere davvero una magia irripetibile: occhi perennemente chiusi, sigaretta in mano, rannicchiata su se stessa, come se non reggesse il peso dell'impatto con il palcoscenico, la chanteuse inglese si supera con una serie di esecuzioni di straordinaria drammaticità e potenza vocale, degne delle sue eroine jazz e blues, finendo a volte con lo sconfinare direttamente in quel campo (si ascolti, ad esempio, "Western Eyes").
Resta eccezionale anche la capacità della band di mantenere la carica cinematica di questi cortometraggi trip-hop in bianco e nero (anzi, noir) anche in versione orchestrale, pur accentuando la dimensione acustica e il respiro arioso di archi e fiati rispetto agli originali in studio (eccezionale ad esempio il finale da spy-movie di "Strangers"). Ma anche in questa cornice più sobria e intimista la potenza sonora di classici come "Roads", "Glory Box" o "Cowboys" resta intatta, a conferma di come tutte le fandonie dell'epoca sulla presunta artificiosità da studios del trip-hop meritino la fine che è stata riservata loro dalla storia. Le versioni rimasterizzate dei brani tolgono anche un po' della originaria compressione dinamica, lasciando ancor più respiro ai suoni, esaltati anche dalla possibilità di un ascolto in alta risoluzione.
Unico neo: effettivamente la prima versione di "Sour Times" pubblicata nel 1998 era preferibile, con la sua rivisitazione arroventata in chiave rock - tra vocalizzi laceranti e coda chitarristica in feedback - del singolo che lanciò i Portishead sul proscenio mondiale nel 1994. Più canonica, invece, la versione del Roseland, quasi in sordina anche rispetto all'originale di "Dummy". Ma è un peccato veniale che si può perdonare in nome della maggior omogeneità ricercata in questa seconda versione del disco, che, come si diceva, contiene solo le esecuzioni tratte dal live newyorkese.
La reissue di "Roseland NYC Live" viene stampata anche in una limited edition in doppio vinile rosso con copertina apribile, poster e una riproduzione del Vip pass "backstage" utilizzato al concerto. Anche il cd digipack contiene il pass "backstage" oltre a un libretto di dodici pagine. La tracklist, invece, è la stessa per entrambe le versioni.
Un regalo ai fan che giunge nel pieno di una nuova lunghissima pausa nella saga della band inglese (16 anni sono già passati da "Third" ancor più degli 11 che intercorsero tra quest'ultimo e il predecessore), mentre se non altro Beth Gibbons si accinge a regalarci il suo primo vero album solista ("Lives Outgrown") dopo il gioiello confezionato in tandem con Rustin Man ben 22 anni fa ("Out Of Season"). Una meravigliosa occasione per riassaporare uno dei più memorabili live degli anni 90, dunque. Ma attenzione che la nostalgia per i Portishead potrebbe sopraffarvi. Poi non dite che non vi abbiamo avvertito.
05/05/2024
2Lp