Lover
Scommetto che non hai mai conosciuto una ragazza come me
Serafica,
Rosie Lowe lo è sempre stata. Ma su "Mood To Make Love", una sommessa
torch song alla
Beth Gibbons costruita sopra un ruminante ostinato folk, la ritroviamo nei panni di eccentrica musa e artista, finemente tracotante nel ruolo di donna innamorata, pur ancora in possesso d'una certa autoironia. Il marito, Louis Hemming-Lowe, dirige il filmato d'accompagnamento del brano, racchiudendo con occhio
d'essai la propria compagna dentro al vibrante quadro naturalistico d'un Devon rurale - spiagge e acquitrini, irrorati dalla tarda luce estiva, fanno da sfondo a un ritratto di Signora davvero particolare.
Pur mutevole con l'umore e l'età, questa è esattamente la Rosie che avevamo conosciuto tanti anni fa con "
Control": abile cantautrice capace di inusitate sottigliezze caratteriali, interprete vibrante ma mai eccessiva, avventurosa musicista dal tocco postmoderno sempre attenta alla propria estetica. Tra torride atmosfere e amabili confessioni a fil di voce, "Mood To Make Love" è uno dei brani più emozionanti dell'anno, perfetto veicolo per presentare almeno la prima parola che compone il titolo di questo terzo album di studio.
Amore, dunque: avvolta da partiture
lounge e accenti
neo-soul, "There Goes The Light" ricorda la
Lisa Stansfield dei bei tempi andati, preda di una femminilità appena accennata sotto l'ombra dei propri dubbi, eppure permeata da una ferrea calma dei sensi. Ma il colpo al cuore lo offrono altri due momenti romantici in scaletta: dapprima la bossa nova di "Walk In The Park" si arrovella in un sollucchero di archi e flauti, poi, più tardi, "This Before" inscena un idilliaco quadretto domestico, appena erotico sotto un velo di complicità. Visibilmente indebitata alla vita, Rosie dedica le proprie "Gratitudes" a questi piccoli momenti di gioia quotidiana, ma stavolta impiega un ossuto tappeto sonoro che ci riporta al Timmy Thomas di "Why Can't We Live Together" del 1972, passato agli annali come il primo album soul a sostituire la sezione ritmica con una
drum machine per un effetto tutto particolare, che Rosie, adesso, rinverdisce con una punta di sarcasmo. In momenti come questi, insomma, sembra quasi che l'autrice voglia afferrarci la mano per condividere una preghiera all'amore e alla speranza, sentimenti che in un distopico 2024 erano stati dati per persi.
OtherNon importa se non ti piace questo lato di me
Lo faccio comunque
Perché non sarebbe un disco di Rosie Lowe senza le contraddizioni e i colpi di scena, quei repentini cambi d'umore sottolineati da slanci elettronici e smembramenti della forma. È sempre il marito a dirigere il filmato dell'altro singolo "In My Head", un incalzante funk sintetico condotto sopra una vertiginosa linea di basso, tanto preciso nella costruzione ritmica quanto sottilmente letale nelle intenzioni; stavolta, la protagonista viene catturata attraverso poche azioni mondane ripetute con ossessione, uno scazzo elegante e androgino ma dal quale è meglio tenersi a distanza di sicurezza.
È qui, insomma, che l'ascolto mostra la propria imprevedibile natura poliforme; un tempo allieva del coro di
Eska, nel quale ha imparato l'uso dell'armonia oltre i soliti canoni occidentali, e già contemporanea dei collage
soul-step di
James Blake, e del gospel sintetizzato e fatto a pezzi da
Kanye West e
Frank Ocean, Rosie prende le curve col freno a mano tirato, maestra della materia produttiva oltre ogni steccato di genere. Non c'è altro modo per descrivere l'arguto
limerick "Bezerk", un
nonsense condotto col tagliente afflato sintetico del
Prince di "
Parade".
Incalzante sotto una sbertucciata ossatura ritmica, "Something" punta dritta alle orecchie, il brano-chiave di questa natura per così dire "altra", eternamente divisa tra tradizione e futurismo.
Certo, l'ascolto a tratti si fa ostico; verso metà scaletta, per esempio, Rosie calza la mano infilando una triade di esperimenti in rapida successione. Dapprima, l'obliqua decostruzione corale "Don't Go" affonda nel gospel e nel
blues, poi, la bizzarra mini-suite "In The Morning" si fa esperanto totalizzante, tramite una sognante eco
easy listening novecentesca sciolta dentro astratte partiture
hip-hop. Ma "Out Of You" sembra uscita dal "
Felt Mountain" dei
Goldfrapp, avvolta com'è da boschivi sibili jazzati mentre Rosie vi lamenta dentro come la più sconsolata delle fate. Fa specie anche il sibillino tratteggio di "Lay Me", ideato attorno a una ritmica da camera alquanto rilassata, che invece punzecchia l'ascoltatore tramite liriche intinte in un amaro sarcasmo tutto
British.
Lover, OtherSpero tu abbia trovato la pace, laggiù
Spero tu possa finalmente dormire, laggiù
Mai, non andare
Mai, mai
Non lasciarmi
Ci lascia così, seduti sul ciglio della scogliera con "Sundown" e annessa "Reprise", a osservare il tramonto in un atto di corale tristezza dalla quale dobbiamo cavare le nostre conclusioni. Perché sopra ogni cosa, "Lover, Other" è un disco di confine, nel quale convivono tante anime diverse: talvolta suona spiccatamente aperto alla melodia con gioia e calore, subito dopo lo ritroviamo ingrippato dentro a qualche diavoleria elettronica. Proprio come l'immagine di copertina, insomma, o ancor meglio illustrato dal fatto che la
title track, solitamente punto focale di un'opera, qui sia giusto un intermezzo strumentale per archi e riverberi sintetici, un nebuloso tocco ambient impiegato come misteriosa pennellata di contesto per aprire chissà quali sviluppi futuri.
Eccellente cantautrice d'amore ed esperta maestra del dubbio oltre ogni facile consumo, Rosie Lowe sarà sempre un affare per pochi, il suo contributo non è che una minuscola punta di diamante nel panorama del moderno cantautorato. Guai a farselo scappare.
03/09/2024