Shabaka

Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace

2024 (Impulse!)
spiritual-jazz, new age

Si fa sempre un gran discutere del prezzo della musica nell'era digitale, ma non si parla mai abbastanza del costo emotivo richiesto al musicista che deve proporla. L'ascoltatore riceve in mano un prodotto il cui valore è stato stabilito dalle mutevoli leggi di mercato, ma qual è il vero prezzo della sua esecuzione? In una società nella quale tutto viene monetizzato e catalogato, spetta all'artista stabilire i propri confini, ma anche escogitare eventuali vie di fuga. È una questione che non concerne solo le grandi popstar sotto pressione della fama; per sua stessa natura, il jazz vive attraverso un costante elemento d'improvvisazione, ogni performance, sia in studio che sul palco, richiede in cambio un diverso pezzetto d'anima. A meno di non essere macchine da guerra, è impensabile andare avanti all'infinito a pieni polmoni, soprattutto se lo scopo è quello di crescere attorno alla propria arte, mantenendo entusiasmo e ispirazione.

Lo sa bene Shabaka Hutchings, artista di punta del nuovo jazz britannico tramite un ventennio di progetti segnati dal possente suono del suo sassofono. Ma alla soglia dei quarant'anni, stanco di dividersi tra un palco e l'altro senza soluzione di continuità, l'autore adesso ha sentito il bisogno di staccare la spina. Per farlo, ha abbandonato il sassofono ed è tornato al primigenio amore del clarinetto e altri tipi di flauto, in particolare lo shakuhachi, strumento di bamboo di origine giapponese, e lo svirel, appartenente invece a varie culture un tempo sotto l'ex-Unione Sovietica. Un approccio drastico ma necessario, esplorato in solitaria nel mini-album "Afrikan Culture" qualche anno fa, che trova adesso sbocco in un lavoro ben più articolato e ricco di ospiti - a suo modo un ritorno sulla piazza internazionale, pur scevro di qualsivoglia divismo.

Come una meditazione devota alla ricerca interiore, "Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace" invita l'ascoltatore ad abbandonare i confini della forma sin dall'introduttiva "End Of Innocence", animata da una dubbiosa idea di piano a cura di Jason Moran; tra il jazz e la new age, tra lunghi silenzi e inserti vocali avvolti da un riverbero elettro-acustico, l'ascolto è morbido ma ondivago, suadente ma mai di facile consumo. Lo si nota soprattutto quando, su "Insecurities" e "Kiss Me Before I Forget", le solitamente vibranti voci di Moses Sumney e Lianne La Havas vengono impiegate come sottili filamenti accanto al flauto di Shabaka, offrendo una presenza umana appena accennata.
Meglio, quindi, quando il profondo baritono di Saul Williams guida la poetica "Managing My Breath, What Fear Had Become", o nel momento in cui la splendida Eska si unisce all'arpa di Brandee Younger sull'emotiva "Living".
Pure i momenti strumentali escogitano continue fughe sensoriali; ecco lucenti stelle di piano a cura del sudafricano Nduduzu Makhathini su "The Wounded Need To Be Replenished", poi ancora un muto impiego di progressive electronics e gli archi di Miguel Atwood-Ferguson per "As The Planets And The Stars Collide". Sicuramente più avvincente "Breathing", percossa a mano da un mrindangam, tamburo indiano impiegato nella musica carnatica: è l'unico brano nel quale Shabaka imbraccia il sassofono, irrorando brevemente l'ascolto con taglienti schegge d'ottone.

Il cuore del lavoro viene rappresentato dai due brani centrali, che sono anche i più lunghi e articolati. Su "Body To Inhabit", il rapper ELUCID prende le redini del discorso, sostenuto finalmente da una palpabile sezione ritmica composta dal basso di Esperanza Spalding e i piatti elettronici di Chris Sholar. Di controparte, "I'll Do Whatever You Want" instaura un lieve pulviscolo digitale con Floating Points e Laraaji, ma conta anche delle presenze di Dave Okumu al basso e André 3000 coi suoi soliti marchigegni digitali a fiato: mirabile, quanto certo inusuale, il modo in cui Shabaka gestisce tali altisonanti ospiti senza darli a vedere. Ma anche questo fa parte del gran piano emotivo dietro a "Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace", ascolto sottile e insondabile, soprattuto per chi preferirebbe Shabaka in veste di tuonante agitatore celeste con Sons Of Kemet e Ancestors.

L'autore, invece, reclama il proprio spazio chiudendo l'ascolto con un brano particolarmente significativo: "Song Of The Motherland" si avvale di un inserto parlato di suo padre, il poeta dub Anum Iyapo, oggi scomparso, instaurando un profondo dialogo generazionale che ha del toccante - lo stesso titolo del brano si rifà all'unico album pubblicato dal padre nell'ormai lontano 1985, quando Shabaka aveva appena un anno. Difficile, quindi, trarre valutazioni nette per un ascolto nato proprio con l'intento di sviarle; probabile passi in sordina contro lavori più astuti e roboanti, ma il jazz è anche capace di starsene in silenzio su uno scaffale per anni, salvo poi offrire la perfetta via di fuga quando se ne avverte il bisogno. Shabaka è già in viaggio.

25/04/2024

Tracklist

  1. End Of Innocence
  2. As The Planets And The Stars Collapse
  3. Insecurities feat. Moses Sumney
  4. Managing My Breath, What Fear Had Become feat. Saul Williams
  5. The Wounded Need To Be Replenished
  6. Body To Inhabit feat. ELUCID
  7. I'll Do Whatever You Want feat. Floating Points, Laraaji
  8. Living feat. Eska
  9. Breathing
  10. Kiss Me Before I Forget feat. Lianne La Havas
  11. Song Of The Motherland feat. Anum Iyapo