Spiral Staircase - The Perfect Child

2024 (autoprodotto)
noise, post-rock, doom-gaze, slowcore

Audie Ellis, da Doylestown, Pennsylvania, sembra essere un personaggio misterioso. Dopo aver risposto immediatamente, e con viva partecipazione, al mio appello per un’intervista, ha fatto perdere le sue tracce. Così, dopo aver raccolto in giro qualche informazioni su di lei (pare abbia 17 anni e agisca dietro le quinte di diversi progetti, tra i quali Clutrrglych, Patience 333, The Newrids e Norberts Orb), e mentre aspetto si rifaccia viva, provo nel frattempo a darvi conto di questo suo terzo lavoro a nome Spiral Staircase, come il precedente “Serotonin” (2023) monumentale per durata (si sfiorano le due ore), terrificante per impatto emotivo  e audace per la commistione di generi, che vanno dal post-rock al doom-gaze, dal noise-rock al metal estremo, dall’avant-folk allo slowcore, passando per l’elettronica, il glitch e la dark-ambient. L’universo lirico di Ellis, invece, ruota essenzialmente intorno alla disforia di genere, con tutte le conseguenze del caso, a partire dalla terribile sensazione di essere ingabbiati in un corpo che non rispecchia quanto la mente ci suggerisce.

Tra i solchi di “The Perfect Child”, Ellis accumula tonnellate di dolore e angoscia, il cui primo assaggio si trova in "My Name Is Paige”, una nenia lenta e depressa che esplode, intorno al quarto minuto, come dei Red House Painters in una fonderia, prima di perlustrare la notte con i tasti di un pianoforte. Le parole, intanto, sono lame arrugginite che tentano di fendere il buio:

Ho comprato un nuovo detergente per il corpo
Ho indossato i miei calzini oggi
Ho messo via i miei vestiti
Voglio riprovare
Voglio riprovare
Voglio un'altra possibilità
Voglio spegnere il dolore
Voglio sapere quale potere sto cercando di ottenere
Voglio vivere di nuovo
Voglio vivere nella mia pelle

Strutturalmente liberi, i brani di “The Perfect Child” partono di solito in sordina, barcamenandosi tra confessioni folk-slowcore più o meno sgraziate, prima di divampare o collassare su se stessi, come nel caso di “Golf Course” ("Quando sorge il sole/ E passa un altro giorno/ Quando sei tutto represso/ L'amore viene fottuto dalla tua assenza"), “Slut” (che ha in serbo un ruvidissimo ibrido di garage-noise e cyber-grind), “The Hermit” (in cui affiora il ricordo dei distruttivi squassi emotivi dei primi Xiu Xiu) o, ancora, “Destroy”, dove una lunga agonia lo-fi prelude a una marcia black-noise carica di devastazione e di eco, a simboleggiare che la musica di Spiral Staircase prorompe dalle grotte più profonde dell’interiorità. Dopo l’undicesimo minuto, da un climax ruvidissimo emerge un coro di fantasmi e, quindi, un ostinato di pianoforte.
Senza soluzione di continuità, si passa alla sterminata “Uninhabitable Body” (venticinque minuti e trentanove secondi), che ci immerge dapprima in un ammaliante paesaggio glitch-ambient, in cui si fa lentamente spazio una figura ipnotica di pianoforte. In questa prima parte, completata dall’ennesima confessione di Ellis (“Oh ma il mio cuore/ Per sempre è cambiato quel giorno/ Oh e la pioggia ventosa non è riuscita a lavare via il mio cuore"), la musica spinge potentemente all’introspezione. Bisogna chiudere gli occhi e ascoltare: ascoltarsi. Basta però un attimo perché tutto vada in mille pezzi. A quel punto, è necessario fare i conti con il “corpo inabitabile”:

I capelli sono come ragni
I tagli si gonfiano come punture di insetti
Gabbia toracica troppo larga per la pelle
Dio perdona, Dio perdona
Per la distruzione della tua creazione
La creazione è peggio dell’inferno
La lama taglia come punture di insetti
Taglia i capelli come il paradiso
Taglia come la pelle dovrebbe fare
Ma la pelle d’oca non perdona

Nel frattempo, si susseguono una violentissima scarica di grindcore trafitta da lampi digitali e, quindi, una tempesta hip-hop, come dei Death Grips frullati dagli Atari Teenage Riot. Ma non è finita qui, perché “Uninhabitable Body” riserva ancora lo spoken word di un robot assediato da ruggiti chitarristici, degli Show Me The Body chiusi in un garage e circondati da poster scarabocchiati degli Slint e, ancora, un parapiglia free-jazz a tripla velocità, da cui s’innalza una voce metafisica: l’estasi dell’abbandono, ancora quell’ammaliante paesaggio glitch-ambient a unire l’Alfa e l’Omega.
I quindici minuti di “A Confession” continuano a scandagliare le profondità dell’anima, in prima battuta affidandosi a quel biascicare subliminale che ha scolpito dentro di sé l’essenza della “Terra del ragno” e che va a tradursi poi in suoni fatti di miraggi, in desert-rock per vagabondi ai confini dell’indicibile e, quindi, in una lunga, pestifera processione doom, simile al nostos senza scampo di un antieroe ulissico, la cui mente è preda di una babele di voci e ricordi raccapriccianti.

Non c’è salvezza. E se avete avuto la forza e il coraggio di giungere fino a questo punto, allora dinanzi avete ancora i ventotto minuti (indimenticabili, ça va sans dire) di “Predators”, l’ultima “scala a chiocciola” prima della dissoluzione, tra terremotanti addensamenti strumentali, cortocircuiti elettronici, urti psichici, smobilitazioni di piatti e tamburi, tormenti:

Sono tornato al punto di partenza
in queste pareti blu rotte
in acqua senza sapone
in abiti maschili
(E non puoi fare a meno di urlare fino a svegliarti
Sono passati 30 minuti
E sai cosa hai visto)

Pochi secondi prima del sedicesimo minuto, Ellis urla “my name is Page” e il suo urlo diventa uno zampillo di rumore, così che il cerchio possa chiudersi con una deflagrazione memore di quella del primo brano. La voce, ormai distrutta dal calvario, si consegna a un dolore irreparabile: “Vedo la panchina su cui c’è scritto: ‘Colpiteli dritti’/ Trattengo la lacrime mentre mi allontano guidando/ L’estate finisce, e io sto ancora aspettando”.
In quest’opera annichilente e not for the faint of heart, Audie Ellis (aka High Priestess) è supportata dagli amici Brandon Hunt (chitarra, basso, voce, pianoforte, synth, field recording), Stockport Swimming Team (cavi rotti, pedali, registratore a nastro, synth e “molti altri abusi di apparecchiature analogiche e digitali”) e Lavender a fare magie con il glitch.

16/12/2024

Tracklist

  1. My Name is Paige
  2. Golf Course
  3. Destroy
  4. Uninhabitable Body
  5. Slut
  6. The Hermit
  7. A Confession
  8. Predators

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