Di album che iniziano con l'unica traccia forte, promettendo benissimo per poi deludere a partire dalla canzone successiva, è costellata la storia del pop. Ma quanti sono quelli che scelgono di aprire proprio con il pezzo peggiore? E non semplicemente con un brano sottotono, ma con un episodio imbarazzante, insalvabile, un autentico disastro?
Comunque la si giri, la opening track "Studenti" è indifendibile: il testo mira all'impegno ma cade nel didascalico, la voce è ruvida e poco controllata, il mixaggio non valorizza l’unico elemento interessante – i colori sintetici delle tastiere del fondatore Vittorio Nocenzi. Una scelta difficile da spiegare, se non con il vantaggio che, per contrasto, a guadagnarci siano le tracce successive. "Il mietitore", singolo dall’impronta più rock, è un brano modesto sotto quasi ogni punto di vista, ma al confronto spicca senz'altro. I pochi episodi più energici, fra cui anche la trita invettiva "Non sono pazzo", risultano i meno convincenti dell'album: espressività sopra le righe, testi goffi, suono al limite del dilettantesco. Non il miglior modo per chiudere la trilogia dedicata all'esistenza umana, iniziata nel 2019 con "Transiberiana" e proseguita nel 2022 con "Orlando: Le forme dell'amore".
Si incontrano invece momenti più riusciti quando il disco abbandona la grinta forzata per abbracciare un pop progressivo dalle tinte art-pop, giocato sulle tastiere dei due Nocenzi (dal 2023 accanto a Vittorio c'è anche il figlio Michelangelo). L'approccio è qui più fantasioso e immaginifico, e può ricordare nelle soluzioni la creatività elettronica dei Matia Bazar dei tempi d'oro. Fra alti e bassi, "Il pittore", "L'ultimo moro dell'Alhambra" e "La casa blu" si distinguono per eleganza e raffinatezza, con atmosfere più sfaccettate e interpretazioni vocali più misurate da parte di Tony D’Alessio, cantante della band dal 2016. L’anima più strettamente prog emerge invece nei ritmi frastagliati di "Spiegami il cielo", che nella lunga sezione strumentale intreccia piano e synth con dinamiche più articolate, tra rimpalli di percussioni elettroniche e incursioni di basso fusion.
"Storie invisibili" è un album discontinuo, con momenti suggestivi e scelte inspiegabili. Il pop progressivo funziona, quando non viene appesantito da testi deboli e da un cantato che spesso forza la mano; la scrittura rock invece suona goffa e poco ispirata. Un lavoro sbilanciato, che poteva convincere se solo avesse puntato con più coerenza sulle sue qualità migliori.
20/03/2025